La vita, in ordine sparso, vista dall’angolatura di una schiena bloccata e dolorante in un fine settimana d’estate.
Il caldo.
Il pavimento ricoperto, di vestiti, fogli, penne, buste di pappa del gatto, polvere, materiali non identificato. Accorgersi con sgomento che una sola persona in casa raccoglie quello che cade, e quella persona sei tu.
Il caldo.
“Mother, io esco. Vado in piazza coi miei amici e i cinque euro che gentilmente vorrai darmi”
“Mamma, vado al pratone con le mie amiche. Mi fai la ricarica del cellulare?”
“Mami, scendo in cortile a giocare. Posso portare il tuo cellulare per sentire la musica?”
Sentirsi derelitta e abbandonata, utile solo come bancomat.
Il caldo.
Accogliere il pizzaiolo a domicilio come il figliol prodigo, conoscersi così bene che ormai non c’è bisogno di dargli l’indirizzo, ci si capisce con uno sguardo e ci si riconosce dall’ordinazione.
Il caldo.
“Io so che a sedici anni sei incazzato
Che anche mamma e papà ti sembran nemici
Io lo so che sei diverso dai tuoi amici
Perché pensi più di loro e ti senti un emarginato
Io lo so che a scuola ti senti sprecato
Che a volte sei malinconico e vedi tutto sfuocato
Che tieni le cose dentro e poi non ti sei mai sfogato
Che i più intelligenti soffrono e a volte è un dono ingrato”
Ascoltare dal divano l’ultima fatica del giovane rapper, osservare il primogenito attento a ogni parola. Pensare che dà più retta al rapper che a te, ma forse lui lo capisce meglio.
Il caldo, il gatto sdraiato nell’ultimo spazio libero sul pavimento.
Oltre alla Zumba e al Wi-Fi, alla casa di riposo dovranno avere anche un ottimo impianto di climatizzazione.