Dalla Cina con amore

Le famiglie sono luoghi abitati da grandi complessità.

Ci convivono moltitudini, ogni individuo é un mondo a sé il più delle volte compatibile come Marte e Venere.

E se é vero che ogni famiglia infelice é infelice a modo suo, caro Tolstoj, non potevi sapere che drammi si sarebbero poi consumati con il caricatore del cellulare. Un dramma vero, che mette a rischio anche il più felice dei nuclei, che incrina i sorrisi tirati della famiglia del Mulino Bianco.

Pur possedendone uno -o più- a testa, pur avendone lasciati alcuni nei punti strategici della casa, ogni giorno riecheggia per i corridoi l’accusatorio grido “chi ha preso il mio caricatore?”

Ci si litiga di meno l’ultima fetta di torta, il trancio di pizza rimasto, le monetine nel mio portafoglio per la merenda di scuola.

Il fidanzato, l’uomo più generoso che conosco, che donerebbe un rene senza esitazione alcuna, é capace di chiamare il Ris di Parma per la rilevazione delle impronte digitali.

Fatica evitabile, tra l’altro, perché quando sparisce qualsiasi cosa é sempre la mezzana.

Nel mentre, acquistiamo nuovi caricatori, con una obsolescenza programmata di un paio di giorni.

Dal cinese all’angolo, siamo ormai di famiglia.

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Qui e là

Il primogenito organizza un’estate lontana, legge Sartre e si allena indefesso in palestra.

Trova il tempo di studiare, considerati i risultati, anche se non saprei dire quando.

La mezzana é a Trento, al festival dell’economia. É in gita scolastica, ascolta parlare premi Nobel e manda foto di spritz pomeridiani in piazzetta.

A giudicare come fa la cresta sulla spesa, l’economia sarà il suo futuro.

Il fidanzato é partito per l’ennesimo cammino, in compagnia degli amici storici, lo zaino nuovo e il suo personalissimo richiamo della foresta, l’esplorazione.

Io finisco di parlare di educazione e diritti a Torino e corro a portare la piccola al saggio annuale di ginnastica acrobatica, cantando con lei canzoni tamarre in macchina.

A volte bisogna stare in tanti posti diversi, per poter dire di essere in quello giusto.

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Domanda 1

“Il bambino non vuole partecipare al gioco di palla prigioniera. Cosa fai?”

a mi siedo a fianco lui per capire cosa c’è che non va

b elogio il gioco di palla prigioniera raccontandolo come imperdibile nella vita

c lo corco di mazzate

Domanda 2

“Il bambino salta la fila della merenda per averla prima. Cosa fai?”

a gli spiego tranquillamente che nella vita bisogna saper aspettare il proprio turno e lo riporto in fondo alla fila

b invece che il gelato gli do una carota

c lo corco di mazzate

Domanda 3

“Il bambino rifiuta la preghiera prima dell’inizio attività. Cosa fai?”

a gli spiego che la preghiera é un momento di condivisione importante

b lo porto dal Don per un esorcismo

c lo corco di mazzate (cantando “alleluia alleluia!”)

Nonostante la predominanza di risposte c, la piccola é stata ufficialmente nominata animatrice dell’oratorio feriale.

Animerà i più piccini per cinque gioiose settimane.

Forse.

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La festa della mamma

A te,

che mi stai accanto fedele da quelle prime due linee sbiadite su un test di gravidanza.

Che eri lì durante le visite, ai controlli, in sala parto e appena tornati a casa con quel fagottino urlante. La prima, la seconda e la terza volta. Ne avrei fatto anche a meno, in fondo ero abbastanza esperta ma tu no, irremovibile al mio fianco.

Nei primi incerti anni, quando la febbre era troppo alta, il pianto inconsolabile, il malessere inspiegabile. Quando uno dei figli cadeva e tornava piangente e sanguinante, ogni volta che li ho persi di vista e ho pensato di non ritrovarli più, mentre erano solo nascosti sotto una sdraio in spiaggia, nell’altra corsia del supermercato, dentro della cameretta.

Quando passava un’ambulanza, e io correvo ad accertarmi che fossero tutti e tre nei dintorni. Le sere in cui rientravano tardi, coi cellulari spenti.

Tutte le volte che apro il registro elettronico e temo di trovare una insufficienza, o sono a bordo campo durante una gara o una partita, oppure a fianco del primogenito nelle guide prima della patente.

Quando partono per un viaggio da soli, quando trovo le sigarette sotto il letto, quando osservo per capire in che direzione sta andando la loro vita.

In tutto questo non sono mai sola.

Tu, cara ansia, sei sempre con me.

Dopo quasi vent’anni, forse sarebbe il caso di frequentarsi un po’ di meno. Di prendersi una pausa di riflessone. Ti chiamo io, quando me la sento.

Intanto, anche a te che sempre mi hai accompagnata, buona festa della mamma

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La nuova stella di Broadway

“Eccola, é uscita”

“Allora, come é andata?”

“Cosa ti hanno chiesto?”

“É stato difficile?”

“Ma da quanto é dentro lei?”

“Chissà se c’è l’argomento a piacere”

No, non siamo fuori da un’aula universitaria durante un appello.

E le protagoniste non sono un gruppo di giovani studentesse.

Siamo in centro Milano, tra professioniste preparate e competenti, nella sede del bellissimo progetto in cui lavoriamo.

Per l’occasione in grande spolvero, con trucco e parrucco.

Con le colleghe, stamattina ho preso parte alle riprese di un video che racconterà quello che sappiamo fare meglio, l’affido.

Perché sul trucco e parrucco dobbiamo ancora lavorare.

Hollywood trema, stiamo arrivando.

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É giunto il momento

Arriva il giorno in cui, dopo anni di cura, abnegazione, sacrificio, impegno, entusiasmo per le nuove scoperte, preoccupazioni per dolori e difficoltà, pazienti attese, abbracci di consolazione, pacche vigorose sulle spalle di incoraggiamento, esortazioni, ricatti, minacce, persuasione, commozione, autorevolezza, autorità, sonno mancato, tornei di minivolley, code dal dentista, pediatra, osteopata, dermatologo, nutrizionista, otorino, ortopedico, oculista e più o meno tutte le branche della medicina, recuperi notturni fuori dalla discoteca, accompagnamenti all’alba per le gite scolastiche, varie ed eventuali, accade.

La persona che hai di fronte e che ora guardi alzando lo sguardo, anziché accucciarsi per vedere il mondo dalla sua altezza, diventa adulta.

La asimmetria del rapporto genitore figlio si mitiga, sfuma, si confonde nel riconoscimento del passaggio di grado e di consegne.

Davanti non hai più l’abbozzo di un ragazzino o una ragazzina, ma le linee decise di un uomo o una donna.

O almeno così raccontano, qui hanno appena arbitrato una gara di rutti.

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Per definizione

“Ma tu stai in massa?”

“Sì, ancora per poco poi entro in definizione”

“Quindi sono centocinquanta grammi di pasta a pranzo, giusto?”

“Sì, stasera duecento grammi di pollo”

“E le proteine in polvere le hai prese?”

“Sì sì, prima di andare in palestra”

“Io sono in deficit calorico, quindi lo spuntino lo faccio prima di allenarmi. Mamma, hai preso lo yogurt greco?”

Sì, ho preso lo yogurt greco, figli miei.

E il petto di pollo, tonnellate di pollo.

E valanghe di proteine in polvere gusto vaniglia, fragola e mirtillo da sciogliere in acqua di Lourdes.

E la Barilla intera per il consumo di pasta.

E qualche azione del supermercato Tigros, di cui finanzio ormai nuove aperture.

Anche io sono in definizione: di fallimento.

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Holiday

È un periodo di grandi evoluzioni, progetti e movimenti a casa mia.

Il movimento più sentito è quello del denaro che lascia il conto corrente, ogni volta che apro l’app della banca parte in sottofondo e ad alto volume “e con le mani, con le mani, ciao ciao”

L’esborso del momento è dovuto alle vacanze. Non le mie, ovviamente.

Per i tre virgulti si prospetta un’estate gaudente, da giorni si ritrovano amici in gruppo a casa nostra per valutare la migliore delle mete estive.

“Ehi Bro, cerca un villaggio sulla spiaggia a Mikonos, settimana centrale di agosto”

“Minchia fra, costa un rene, provo club Med a Ibiza”

“Oh, ma sono matti? Va che prezzi, se mettiamo i soldi di tutti e dieci forse uno ci può andare”

“Guarda la Sardegna”

“No, la Sicilia”

“Il Molise?”

“Vabbè, googla quali sono i posti più economici per andare in vacanza”

“Campeggio libero a Brasov, Transilvania, che dite?”

“Minchia Bro, bella fra, pensiamoci”

Di questo passo, me li troverò accampati in giardino a ferragosto.

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Penalità

Domenica ci sarà la prima gara della stagione in trasferta.

Ginnastica acrobatica, specialità della piccola.

Controlliamo di avere tutto pronto, dove tutto sta per poche semplici cose. Nessun attrezzo se non il proprio corpo, pronto a volteggiare sul track e volare dal trampolino.

Quindi retina, elastico e forcine per uno chignon perfetto -che noi cementeremo col mastice, stante la materna incapacità di pettinare le figlie-, e body da gara.

Il body da gara.

Che, misteriosamente, è scomparso da casa a due giorni dalla gara.

Sgrido la piccola.

Senza body regolamentare, niente gara. Col body vecchio, penalità per la squadra.

Mi offro di andare a comprarne uno nuovo ovunque -li fa la sarta, non si può- di cucirlo con le mie mani -ovvero avvolgere la piccola nella carta stagnola, in fondo il body è argentato- di corrompere la giuria per non avere la penalità.

Niente.

Sgrido la piccola.

Nel tardo pomeriggio il body riemerge, dove non doveva essere, ma fa niente. Giubilo e gaudio, abbracci come ai mondiali dell’ottantadue.

Sgrido la piccola, ci ha fatto passare ore di terrore.

Il body sembra meno argentato del necessario, anzi decisamente nero.

“Mamma, non lo hai lavato in lavatrice, vero? Le istruzioni erano chiarissime: lavaggio a mano e acqua fredda”

Se esistono penalità anche per le madri, oggi ne ho collezionate qualcuna.

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Il grande inganno

C’è un aspetto della genitorialità, collocato tra un’esibizione e l’altra di questo sghembo circo Barnum, che non smette di intenerirmi e sconcertarmi.

Sono una donna, una madre, una pedagogista (cosa vi ricorda?) con degli strumenti abbastanza solidi, un livello medio di comprensione del testo, una demenza senile appena accennata e non invalidante, ecco.

Ma non basta, evidentemente.

Quando uno dei miei figli combina qualcosa, evento tutt’altro che raro e con diverse sfumature non di grigio bensì di gravità –qualunque trasgressione adolescenziale vi venga in mente probabilmente l’abbiamo avuta-si scatenano in me sentimenti contrastanti.

Il primo è la furia, sempre che possa essere catalogato come sentimento e non istinto primordiale. Quella accecante, che ti inietta gli occhi di sangue e ti fa tuonare punizioni assurde e non sostenibili come “non uscirai fino ai quarant’anni, basta playstation fino alla maggiore età, non ti comprerò più neanche un paio di mutande finché non ti sposi”

Non ci crede nessuno, persino il gatto ti fissa con la commiserazione di chi sa quanto le tue parole siano urlate al vento.

Ma il figlio o la figlia sa che c’è un modo, pressochè infallibile, per rientrare nelle grazie –e nelle tasche- del genitore: il messaggino smielato.

“Intanto scusa, mamma. Ho commesso un errore imperdonabile, non so davvero cosa mi sia successo. Sai che non sono così e credimi, la cosa che mi fa più male e non dormire la notte è avere perso la tua fiducia, cosa a cui tengo più del mio iphone. Se non avrò il tuo perdono capirò. Con immutata stima e amore, tuo figlio/a/i”

Un coacervo di balle, un’accozzaglia di falsità, un tentativo di circonvenzione di incapace, persino. Ne ho una collezione intera, potrei allestirci una mostra. Devono avere un manuale, come quello delle Giovani marmotte, che li istruisca fin da piccini alla nobile e criminale arte di intortare il genitore furibondo.

Perché io, ogni volta, ci credo come se fosse vero.

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