Che figura

A cena

“…ed è praticamente senza calorie”

“Ma no, tutto ha calorie”

“Blo, santa pazienza, è un’iperbole”

“Ma l’ipernonhocapitocosa è qualcosa da mangiare? Senza calorie?”

“No piccola, é…”

“Lo so io! Lo so io! È quella roba di geometria. Devo averla sentita nominare da qualche parte, ma non ascolto mai tanto la prof”

“Credo che tuo fratello intendesse…ma facciamocelo spiegare direttamente da lui”

“’L’iperbole è una figura retorica che consiste nel portare all’eccesso il significato di un’espressione, amplificando o riducendo il suo riferimento alla realtà per rafforzarne il senso e aumentarne, per contrasto, la credibilità”

“Ah. Finisci la carne, che si fredda”

Non è in grado di trovare le calze in un cassetto, ignora dove sia collocato il burro in un supermercato, fa confusione tra shampoo e balsamo.

Ma sulle figure retoriche non lo batte nessuno.

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Elasticamente

Quando pensi che il peggio sia ormai arrivato e superato, il fondo del barile toccato e grattato, il tunnel abitato e arredato, arriva lei.

La bellissima/tonicissima/informissima maestra di Gag.

Arriva melliflua, con un sorriso suadente, mentre tu cerchi a fatica di allacciarti una scarpa, e ti consegna lo strumento di tortura della serata: l’elastico.

Appena lo abbiamo avuto in mano, la piccola ed io abbiamo pensato di farci la coda, usarlo come cerchietto, metterlo al polso come bracciale.

Mai, neanche nei sogni più sfrenati, avremmo immaginato di doverci fare entrare le gambe per svolgere una serie variegata di esercizi.

Da ieri sera la parola insaccato ha tutto un altro significato, ed oggi empatizzo in tutt’altro modo col salame campagnolo.

Al grido di “la volete la pancia piatta?”, al quale è seguito un coro di vigorosi “sì!” e due flebili “anche no, grazie”, si è conclusa la serata di allenamento.

Si dice che la prossima volta ci saranno le corde. Per impiccarsi, immagino.

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É venerdì

Stamattina il cruscotto della macchina s’é illuminato come l’albero di Natale, quando colleghi le lucine dei cinesi che quando va bene prendono fuoco.

L’efficentissima automobile -nuova- ci ha tenuto a segnalarmi che i malfunzionamenti riguardano i freni, la pressione degli pneumatici, la partenza in salita, le luci di posizione, il buco nell’ozono e la pace nel mondo.

Trenord mi comunica con una gentilissima email che sarei insolvente per euro settantadue, in biglietti di inizio duemilaventidue.

Pare ci sia stato un problema con PayPal, si son dimenticati di prendersi i soldi e così ora tocca pagarli tutti insieme.

E subito, mi raccomando, non facciamoli attendere come noi quando aspettiamo treni invano.

La mezzana dice che le fa male un dente, io fingo di non sentirla.

Il primogenito ordina libri compulsivamente, anche se ha terminato il bonus cultura e i pagamenti arrivano sulla mia carta di credito.

Però è venerdì, direte voi. La settimana è finita e si spalanca il weekend.

È venerdì. C’è Gag.

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Sex in the city

Dopo una lunghissima attesa, litri di benzina, chilometri di strade solcate, parcheggi a elle e a esse, capelli bianchi e anni di vita -miei- perduti, è accaduto.

Il primogenito é armato di patente di guida, e la vita da adesso non sarà più la stessa per nessuno.

Pedoni compresi.

La richiesta di scotch e corda per una serata con gli amici, da parte della mezzana.

Il pensiero va a cinquanta sfumature di grigio e alla stanza del piacere, mentre la vedo salire le scale col nastro carta e lo spago dell’arrosto, gli unici trovati.

Le sfumature sono invece quelle dei neuroni ormai perduti, dopo avere giocato a “lega la bottiglia con lo spago al soffitto e mentre siamo tutti bendati la facciamo ondeggiare e vediamo chi la prende in fronte”

Si sono varati il cervello, loro.

La piccola che racconta placidamente a tavola di come si è svolta l’odierna lezione di grammatica.

“Abbiamo copulato tutta l’ora, sono a pezzi”

Mi sono riavuta dal malore abbastanza in fretta, in tempo per capire che stava parlando di verbi.

E io che credevo che la cosa più emozionante, oggi, fosse avere trovato i sacchetti di ricambio dell’ aspirapolvere.

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S.Valentino

Sono una donna che da sempre combatte gli stereotipi. Di genere, culturali, discriminatori ed etichettanti.

Per questa ragione non dirò che avere un uomo influenzato per casa è una condanna.

Non mi abbasserò alla becera macchietta del consorte intabarrato nel pile, che dal suo letto di dolore smadonna contro un destino cinico e baro (che lo ha privato di una trasferta al mare)

Non cederò al facile richiamo del banalizzare, raccontando della revisione al testamento e il whatsapp al parroco per l’ultimo, estremo, sacramento, quando il termometro supera la fatidica cifra di trentotto.

Non infangherò la reputazione di nessuno dicendo che ha fatto salire il gatto sul letto, al suo capezzale.

No, non lo farò. O forse sì.

Buon San Valentino, amore mio

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Il lavoro nobilita

“No, domani non posso, lavoro tutto il giorno. Ah, non me lo dire, la stanchezza”

È scattato il giorno due della alternanza scuola lavoro della mezzana, e così lei si racconta, al telefono con un amico.

Per un totale di cinque giorni, la giovane abile e arruolata presterà servizio in un comune del varesotto.

Ambito: Servizi educativi, Ça va sans dire.

Sono vizi di famiglia, eredità generazionali.

Competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare, competenza imprenditoriale, lavorare in gruppo, essere flessibili e sapersi adattare, prendere decisioni e coordinare le attività, ipotizzare possibili soluzioni, team working, learning by doing, project work.

Questi i modesti obiettivi da raggiungere in una settimana scarsa.

Diamole un mese e avrà il patrimonio di Gianluca Vacchi.

Una abilità, va detto, è già stata incrementata, quella del problema solving.

Perso il treno, chiama la mamma per farsi accompagnare al lavoro.

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L’era glaciale

Questa mattina, dopo un fugace ma intenso incontro con lo specchio del bagno, ho deciso che mi meritavo un giro dal parrucchiere.

Talvolta é necessario qualcosa che ci faccia sentire belle, in ordine o semplicemente presentabili al mondo.

Ma il maggior nemico dell’autostima, si sa, è il portafoglio.

Per questo mi sono recata dal meno esclusivo coiffeur cinese della città(spero che la mia amica parrucchiera mi perdoni por mi vida loca)

Appena accomodata, proprio accanto al gatto di plastica che muove la zampina, ho sentito uno strano brivido nella schiena.

Inizio influenza? Febbriciattola? Dio non voglia, covid?

Caldaia rotta.

Dal lavatesta è sopraggiunto il grido di una signora, durante lo shampoo con l’acqua ghiacciata.

Essendo ormai tardi per pianificare la fuga, la stessa sorte è quindi toccata a me, per poi essere abbandonata -sempre a fianco del gatto di plastica, quando si dice il destino- con una salvietta umida sulle spalle e i capelli bagnati.

C’è da dire che si sono congelati piuttosto in fretta, nell’attesa che Giulio -nome con cui si fa chiamare il sedicente parrucchiere che parla solo cinese stretto intervallato dalle parole “piega liscia o liccia?”- tornasse da me.

Nell’attesa, e nella crescente preoccupazione di non vedere crescere i miei figli, ho afferrato un phon per evitare l’ultimo grado di ipotermia.

Alla fine Giulio è tornato, con pile, sciarpa e cappello, a finire il lavoro.

Io sto benissimo, come il mammut scongelato al termine dell’era glaciale.

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Bon appétit

In una famiglia di cinque persone, è apprezzabile e di valore la varietà di pensiero, la pluralità di sguardi, l’unicità dei punti di vista.

Se solo non si dovesse preparare pranzo e cena almeno due volte al giorno.

Non uno di noi può o desidera mangiare quello di cui si nutre l’altro, per motivi vari ma soprattutto per esigenze nutrizionali differenti, maniera elegante di descrivere il numero di rotolini intorno alla vita.

Ragion per cui i dolci sono guardati con sospetto, i condimenti con invidia, il piatto dell’altro come la terra promessa.

Si sa, al cuor non si comanda, figuriamoci all’appetito.

Diventa quindi necessario occultare le prove, prima di occultare il cadavere di chi finisce la torta di nascosto.

Hai preparato il plum-cake? Ottimo. Va nascosto tra le padelle, così non c’è la tentazione.

Ti hanno regalato una crostata? Meraviglioso. Va nascosta nel cassetto delle tovaglie.

È avanzata una brioche? Dietro ai bicchieri.

Le polpette per la cena? In frigo dietro agli spinaci, stai pur certo che nessuno le troverà.

La porzione di lasagna rimasta? Dalla al gatto, perché sarà trovata anche se la metti in garage.

Finché non dimentichi qualcosa, e allora basta seguire la scia di formiche, che si dirige baldanzosa verso i biscotti al burro ormai ammuffiti che ti avevano regalato a natale.

Ora vado, devo cercare la mortadella nascosta perché non capitasse a tiro della piccola. Provo a vedere nell’armadio.

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L’unica spiegazione possibile

Li coltivi da piccini, teneri virgulti, radici che ancora devono affondare nel terreno.

Innaffi, curi, esponi al sole, dai ombra.

Notti in bianco, madonne a colazione quando nessuno si alza.

Discussioni per i compiti, lo studio, la matita si impugna così, no lì non ci puoi andare, così tardi non devi tornare, sei piccolo per questo e quell’altro.

Lezioni provate e quelle private, l’essere motivatore, non arrenderti, dagli sbagli si impara.

E mentre tu semini e concimi, pensando che sarai fortunato ad essere ancora vivo per assaporare i frutti, il miracolo accade.

Così, dal niente, prima non c’era e poi sì.

Come una magia di David Copperfield, tu che ti senti più come il mago Forest.

Il primogenito legge.

Legge libri per piacere e studia i testi per gli esami.

Nessuno lo obbliga, lo maltratta, lo ricatta (tutti ottimi metodi educativi, comunque).

Divora storie e sfoglia pagine, prende appunti e acquista libri col bonus cultura.

Insomma, fa tutto quello che ho provato ad insegnargli negli ultimi diciannove anni.

E lo fa sua sponte, senza coercizione alcuna.

Devo controllare: l’unica spiegazione è che stia producendo metanfetamine in garage.

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Cinquanta sfumature

Meglio del Venerdì di repubblica, ecco tornare il venerdì di ginnastica.

La trasformazione della dolcissima insegnante di gag da Biancaneve a Mr Gray di cinquanta sfumature di grigio è ormai ultimata.

Si è compiuta al ritmo di Riki Martin e Alvaro Soler, ma non per questo è stata meno cruenta.

Le parole sono importanti, ma alcune sono pericolosissime.

Tra queste, oltre a “dobbiamo parlare”, si inseriscono di diritto sul podio le temibili “plank”, “barchetta” e la fantozziana “quadrupedia”.

A ognuno di questi termini corrisponde una posizione faticosa, a tratti dolorosa e sprezzante della forza di gravità.

A ognuna di queste posizioni corrispondono invocazioni tra le più religiose da parte mia ed esortazioni militari da parte della iper tonica insegnante.

Ieri sera, mentre allenavo il muscolo dell’interno coscia sulle note di Livin’ la vida loca, sognavo che irrompesse il Richard Gere di Ufficiale e gentiluomo a portarmi via in braccio.

È arrivata solo la bidella -forse da Napoli- a dirci di non lasciare le giacche nello spogliatoio.

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