Nella mia famiglia le regole sono poche ma imprescindibili.
Molte di queste si sono adattate alla crescita e ai cambiamenti degli abitanti di casa, ma una è rimasta immutata nei secoli: si parla e ci si racconta.
A pranzo, a cena, a colazione o merenda, mentre si va a pallavolo o nella sala d’aspetto del pediatra, che sia la giornata a scuola, il litigio col compagno, un bel voto o un desiderio, si condivide raccontando.
Tuttavia.
“Mother, non hai messo like alla mia ultima foto?”
“Eh? No, non l’ho vista, perché?”
“Vai a vederla, c’è già una reaction”
“Mamma, ti ho taggato su musically, puoi vedere anche tu il video nuovo che ho fatto con la piccola dove raccontiamo come è andata la domenica”
“Scusa ma non me lo puoi dire adesso?”
“No, però ti ho scritto in direct”
“Come? Dove?”
“Mamma, sulla direct di Insta, no?”
“Mami, c’è una palestra bellissima dove vorrei andare. Mia sorella ti manda il link su whatsapp”
“Piccola? Tu quoque? Non puoi semplicemente spiegarmelo?”
“No, e tu dovresti smettere di stare in quel posto da vecchi”
“Quale posto da vecchi?”
“Facebook, no?”
È evidente che in questa casa frequentiamo social diversi.
Io, che non amo le risse da web, che al posto delle app scarico la spesa, che sto ancora imparando l’educazione digitale, che non mi struggo per un pugno di like.
È incomunicabilità 2.0