Al lavoro.
Tredici chiamate senza risposta.
Tutte della mezzana.
È andata a fuoco la casa, la piccola è stata rapita dagli alieni, il grande è scappato di casa.
“Pronto amore, che succede?”
“Mamma mamma finalmente! Un’emergenza, una tragedia, aiuto”
“Cosa ti ha mangiato tuo fratello questa volta?”
“No, mio fratello non c’entra”
“Allora la situazione è grave. Dimmi”
“Il gatto”
“Quale gatto?”
“Il piccolo”
“Ah, allora sono più tranquilla. Che fa il gatto?”
“Ha i vermi mamma, ne sono sicura, devi tornare subito”
“I vermi? Ma come fai a dirlo? Sta forse male?”
“Ha vomitato in sala”
“Vabbè, succede. Non preoccuparti. Stamattina s’è mangiato mezzo topo, può darsi che abbia lo stomaco un po’ per aria”
“No mamma, l’ho studiato a scuola. Vomito e perdita improvvisa di peso indicano la presenza di vermi. Torna a casa, dobbiamo portarlo dal veterinario”
“Perdita di peso improvvisa? Ma chi, Matisse? L’incrocio tra un felino e un cetaceo? Quello che non passa più tra le sbarre del cancelletto? Che da seduto ricorda Buddha? Amore, se qui c’è un medico da chiamare è un oculista, per te”
“Vabbè ma tu vieni a casa, va bene?”
“Sono al lavoro, lo sai. Tu però pulisci il vomito, mi raccomando”
“…”
“Pronto? Ci sei ancora?”
“Tututututu…”
Se alle politiche sociali dovesse servire una figura di riferimento per la conciliazione lavoro e maternità non fatevi scrupoli, son qui.