Caro primogenito,
Scrivo da un passato lontano ma forse non troppo.
Scrivo per parlare al te grande di domani del tuo alter ego adolescente di quattordici anni.
Il te stesso di oggi è un ragazzino simpatico, arguto, intelligente.
Ma ha appunto quattordici anni ed è anche molesto, irriverente e criticone.
Col tuo umore di oggi si naviga a vista, la bufera è sempre dietro l’angolo e i salvagenti chissà dove li abbiamo messi.
La riconoscenza è un sentimento adulto, l’ingratitudine la cifra stilistica della tua età. Non mi coglie impreparata, ma mi lascia spesso dispiaciuta e arrabbiata.
Tra il mio dovere alla cura e il tuo diritto alla crescita sta nel mezzo il mare della distanza, della ribellione e e dell’affermazione di sé.
Perché il muro che costruisce l’adolescenza in fondo è la tua prima casa da solo e va bene così, almeno finché c’è aperta una porta di parole, per lasciar entrare e per potere uscire.
Almeno finché non si aggiunge il filo spinato dell’incomprensione e dell’irriverenza.
Anche per me non è semplice, sai?
Io, che certe volte sono troppo e altre non sono abbastanza.
Che cerco un orientamento impossibile ma è come avvicinare una calamita a una bussola: non si riconosco più i punti cardinali .
Io che bilancio ma verso lo squilibrio,
convinta come sono che possiamo sempre portarci dietro le nostre radici, se troviamo una terra fertile in cui piantarle.
Quindi, caro primogenito ormai grande, spero che quando leggerai queste parole potremo ridere insieme di quello che ci accade oggi, e che saremo riusciti a portare la barca in salvo.
Perché oggi dal ponte di avvistano nuvoloni neri e schiarite improvvise, ma la terra sembra ancora lontana.