
In coda alla cassa, con le mie offerte speciale in equilibrio precario.
Davanti a me, una donna cinese con la sua bambina. Coda alta tiratissima e capelli neri lucenti, vestita in tutte le tonalità esistenti di rosa.
La piccola allunga la mano verso un ovetto di cioccolata con sorpresa, la madre gliela allontana con un gesto fermo e deciso.
È questione di una frazione di secondo e la bimba lancia un urlo acuto, che come il gladiatore al mio segnale scatenate l’inferno, apre la via a quello che sembra un epico capriccio.
La madre, mentre imbusta la spesa, allunga il bancomat e si sistema i capelli, il tutto con un unico gesto, si avvicina alla figlia e le dice alcune parole, in cinese.
Il capriccio si interrompe all’istante, le lacrime si asciugano subito.
Ora, io non so cosa si siano dette.
Se la madre le ha proposto l’acquisto prossimo dell’intera azienda Kinder, se l’ha spaventata minacciandola di farne straccetti con mandorle, soia e bambù, se le ha prefigurato di trasformarla in una statua dell’esercito di terracotta.
Resta il fatto che ho rivalutato i principi pedagogici della mamma tigre, della quale condivido solo un tatuaggio ormai sbiadito sulla caviglia, avanzo di una dissoluta giovinezza.
Io, come mamma, somiglio più al felino pigro che abita a casa mia.