
C’è un vento forte che spazza il cielo, azzurrissimo. Il parcheggio è pieno, si fanno più giri per trovare un posto. Capannelli di ragazzi e ragazze, sulle aiuole fuori dall’edificio, in coda davanti a un tavolino dove lasciare le proprie generalità.
Lui ha scelto la sacca grigia, quella col logo, insieme agli opuscoli col programma della giornata.
È andato dietro un ragazzo poco più grande di lui, con la maglietta arancione e la mascherina coi colori della bandiera della pace, scomparendo dietro la porta dell’aula undici.
Io l’ho aspettato nel bar tavola calda accanto, bevendo troppo caffè.
Il primogenito è stato all’open day dell’Università, meravigliosamente in presenza e non dietro a uno schermo.
Per conoscere meglio la facoltà che vorrebbe frequentare, e vedere quella che potrebbe essere la sua seconda casa per i prossimi tre più due anni.
Io non ero così emozionata nemmeno quando, in un’agosto caldissimo di un milione di anni fa, sono andata a Torino con mio padre, a vedere per la prima volta l’università che avrei frequentato.
Ho accompagnato il primogenito alla scuola materna, elementare, alle medie, ogni tanto oggi ancora al liceo.
Ho smesso di tenergli la mano da tempo immemore, ma il mio sguardo ancora lo segue quando si allontana.
“Blo, stai calma però”. Mi dice lui, che ne ha abbastanza della eccessiva emotività materna.
Conoscendomi, non ci conterei troppo.
Una non-calma tenera!
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