
Ho ancora quell’agenda, in un cassetto.
Dove ho annotato pensieri, speranze, disegnato faccine e cuori, segnato appuntamenti, tenuto il conto di giorni, settimane, mesi.
L’ultima pagina scritta è quella in cui un dottore dagli occhi buoni mi ha detto che il cuore nella mia pancia non batteva più.
In una stanza sgombra c’era già una carrozzina, un armadio Ikea e due tutine colorate. Una verde e l’altra gialla, perché non sapevo ancora se sarebbe stato maschio o femmina.
Non lo so oggi e non lo saprò mai, ma forse poco importa.
Ho pianto tutte le mie lacrime nel salutarlo, e ho imparato che non è un modo di dire.
Poi, come la vita insegna, il pianto si arresta, la morsa del dolore si fa meno tenace, sorridi senza nemmeno accorgerti.
Ho avuto cinque gravidanze, ho tre figli.
Per due volte qualcosa si è spezzato, per due volte io mi sono spezzata.
Oggi, nella giornata mondiale della consapevolezza della perdita perinatale e infantile ho ripreso in mano quella agenda, e ho pensato a lui o a lei, ma soprattutto a chi oggi vive il dolore di perdere qualcuno che non si è ancora conosciuto.
Amato sì, perché quell’amore nasce dal desiderio di un figlio, ed esplode davanti alle due linee blu di un test di gravidanza.
Oggi so che il ricordo può non fare più male.
Lo dico a me, lo dico a tutte le mamme e i papà che sono dentro a questo dolore.
La vita trova altri modi per farsi sentire.