Eccoci.
Sono venticinque anni, mica bruscolini. Però di solito si festeggia lo stare insieme, non l’essere lontani.
Che poi non l’ho mica capito dove sei, vicino o lontano, nel cuore o nel cielo, nei miei geni o in quelli dei tuoi nipoti.
Scrivo lo stesso, ti parlo comunque, qualcuno sentirà, da qualche parte arriverà.
Il primogenito gioca a scacchi. Sai, sono cambiate molte cose, non ha più il basket, può vedere pochi amici, non va a scuola da mesi. Però comincia a pensare al suo futuro e la cosa mi incanta e atterrisce allo stesso tempo.
La mezzana non solo abita l’iperuranio, ma lo ha anche arredato. Studia scienze umane ma vuole fare la make up artist o la tatuatrice, ancora non s’è deciso.
Ha il disordine nel corredo genetico e per arrivare a lei tocca scavalcare montagne di vestiti gettati in ogni dove.
Mi manda messaggi su whatsapp per avere grattini sulla schiena, sua dipendenza e droga.
La piccola è grande, ma non glielo diciamo. È generosa e attenta, curiosa e iraconda, amabile e scontrosa.
Con lei bisogna capitare nel giorno giusto.
Io ho scritto un libro, papà.
Quanto vorrei che tu lo potessi tenere tra le mani, sul comodino, nella mensola in alto della libreria.
Chissà che avresti detto, vedendo il tuo cognome su un libro in vetrina.
Sto bene e cerco di essere felice e grata, ché di motivi ne ho davvero tanti.
Sono amata, dunque fortunata.
Venticinque anni oggi, papà, non so dire se è più mancanza o nostalgia, ora che è più il tempo vissuto senza di te che quello passato insieme.
Forse è solo amore.
Ciao, papà.