Bisogna imparare a leggere i segni.
Il piccolo gatto, infilato nel trasportino e caricato in macchina per il controllo dalla veterinaria dai capelli rossi, ha svuotato la vescica -e, a giudicare dalla quantità, anche quella di qualcun altro-al primo semaforo, dibattendosi poi selvaggiamente perché insofferente allo sporco.
Le forze dell’ordine hanno trovato molto interessante la storia della ferita sul muso e della mia bizzarra autocertificazione pro gatto.
Il felino s’e guadagnato altri tre giorni di collare elisabettiano, a meno che io non sia in grado di monitorare che non si gratti la ferita. Figuriamoci, non ho controllo sulla piccola che la sera si finisce la pasta avanzata.
Anche al bancomat, per il pagamento dell’F24 per l’iscrizione a scuola del primogenito, la coda è durata solo quaranta minuti. Certo, se mi fossi ricordata di mettere in borsa il suddetto F24 sarebbe stato meglio, ma tant’è.
A casa tutti bene, sollevati dalla combinazione ufficiale di scuole chiuse fino a settembre e uno spiraglio di libertà in fondo al tunnel, che per il primogenito significa già rituffarsi nella precedente vita mondana. Per portarci avanti abbiamo cominciato subito a litigare su ciò che sarà e non sarà permesso fare.
Ho imparato che il fidanzato non è un congiunto, e che se voglio posso andare a trovare un cugino che non vedo da anni ma non l’uomo con cui vorrei passare i miei, di anni.
Adesso vado di là, a deprimermi col gatto.