Come se un lavandino e una pila di salviette potessero essere così importanti, ma in tempo di crisi la mente reagisce nei modi più bizzarri.
Sarà che il coraggio non è mai stata la mia principale virtù, sono stata la bambina fifona che non voleva salire sul bruco mela dei giardinetti, oggi sono l’adulta che si paralizza di fronte alle montagne russe.
Sarà che le mie giornate del prima erano una catena di montaggio tanto ben organizzata che alienazione spostati proprio, con una tabella di marcia così lunga da non stare in un post it.
Sarà che come il criceto che corre, finché sei sulla ruota non ti accorgi della fatica che fai, ma se ti fermi poi esiti al pensiero di salirci di nuovo.
Sarà che ho sempre apprezzato l’intensa vita sociale dei miei figli, uno al campetto, l’altra in giro per il paese, la piccola al pratone. Mi sembrava buona cosa per loro e salute mentale per me.
Ho tremato, all’inizio, all’idea di essere io partecipe di tutto quel tempo.
Adesso però ogni tanto la sento, la vocina che insinua infida che almeno adesso so sempre dove sono, non resto alzata la notte per controllare che il primogenito torni a casa con le sue gambe, non controllo l’orario ossessivamente per il ritardo delle ragazze, ho smesso di usare “trova il mio iPhone” (lo so, sono una brutta persona) per mapparne la posizione.
Sarà che ci si abitua anche a stare in cattività, e se forse qualcuno vuole aprire la gabbia non sei proprio certo di volerne uscire.
Le pareti intorno sono rassicuranti, per quanto meraviglioso sia il cielo sopra e il verde intorno.
Mi chiamo Barbara, sono a casa coi figli da cinquantanove giorni è un po’ paura di uscire.