Carrozzina che io spingevo stanca, in una caldissima estate, nel parco di una fattoria poco lontana da casa, nel tentativo di sopravvivere a una triade che, sommata insieme, non superava i sette anni.
In fattoria erano liberi di correre, giocare e dare da mangiare alle mucche, creature in cui mi identificavo per forma, sguardo alienato e produzione di latte.
Durante uno di quei pomeriggi assolati, mentre ammiravamo l’ennesima coda di pavone, una signora ci si è avvicinata, più incuriosita dalla nostra moltitudine che dall’esibizione del pennuto.
Dopo la domanda di rito -sono tutti suoi?- ha tenuto a dire la sua.
“Se li goda adesso, signora! Che bambini piccoli portano problemi piccoli, quelli grandi preoccupazioni grandi” per poi dileguarsi tra le caprette.
La prontezza di rispondere purtroppo è mancata lì, su due piedi con tre bambini.
Però negli anni ci ho pensato, e oggi so che saprei ribattere.
Cara signora, le direi, non c’è proprio niente da godere qui, mi creda.
Non c’è da godere quando non dormi la notte, se hanno la febbre alta e tu in piena paranoia ti domandi se non sia meningite. Non c’è da godere quando ti chiamano millemila volte al giorno, quando hanno paura del buio, quando soffrono per un’amicizia finita o per un canestro mancato.
Non c’è da godere quando piangono perché non sono capaci, quando temono di non farcela, quando fanno i capricci in un supermercato affollato.
Non c’è da godere quando adolescenti ti buttano addosso tutta la tua inadeguatezza, quando sei il nemico da combattere, quando da porto sicuro diventi spazio ostile.
Non c’è proprio da godere, signora.
Però c’è da viverli, questi figli, da quadrupedi impacciati a bipedi che ascoltano la trap.
Perché insegnano sempre qualcosa, sorprendono, emozionano.
Perché sono così diversi da noi da farci credere che possiamo cambiare anche se siamo già grandi.
Perché l’infanzia non dura per sempre, l’adolescenza chissà, ma cara signora, ce ne faremo una ragione.