I colloqui con gli insegnanti appartengono alle righe piccole che ho firmato, senza leggere bene, sul contratto di genitorialità più o meno sedici anni e mezzo fa.
Nel corso del tempo e col passare delle stagioni sono stata seduta in bilico sulle seggioline della scuola materna, stretta dietro un piccolo banco della primaria, a disagio come se stessero valutando me alle medie e superiori.
Mi sono sentita dire e raccontare di tutto, in questi anni.
Ha le capacità ma non si applica -al primo posto per originalità e impegno- è bravissimo nella mia materia -ma io ero lì per la piccola- posso chiederle una consulenza? -essere pedagogista può sempre tornare utile- è una brava ragazzina ma parla troppo -una sacrosanta verità.
Ho incontrato uomini e donne preparati, stanchi, sfiduciati, entusiasti, fiduciosi, proattivi, negativi, simpatici, odiosi.
Di qualcuno ho avuto paura e con qualche altro mi sarei fermata volentieri a parlare un po’ di più, non necessariamente dell’andamento scolastico dei miei figli.
Stamattina all’appuntamento con il professore di fisica del primogenito mi sono presentata con l’entusiasmo della coda in posta per pagare un F24, rassegnata ad ascoltare dieci minuti di ovvietà su questo figliolo senza infamia e senza lode, che riesce sempre più o meno a barcamenarsi senza eccellere in nessuna materia in particolare.
Davanti a me un minuto uomo asiatico, dai capelli radi e l’abitudine a sistemarsi gli occhiali sul naso. Che ha inquadrato perfettamente il primogenito in questione, e con voce pacata ha sottolineato come la fisica sia fondamentale, al liceo e nella vita, per rassicurare e mettere ordine. “Perché al polo nord o all’equatore la regola sarà la stessa, la mia materia non dice bugie. Mica come le materie che sono tutte un bla bla bla. Mi sa che a lei piacciono le materie bla bla bla, vero?”
Caro professore, mi sa che ha ragione.
Manderò la mia mamma a parlare, la prossima volta.