L’anno scolastico non è cominciato sotto le migliori congiunture astrali.
Il primogenito vanta un solo voto, un quattro in matematica che accende di rosso la sua pagina del registro elettronico. Ha cominciato a studiare filosofia, ma nonostante le mie entusiastiche recensioni “ti piacerà tantissimo! Io l’adoravo, sarà così anche per te” è stato capace solo di dire che panta rei è il verso di una canzone di Francesco Gabbani.
La mezzana arranca di fronte alle richieste dei professori, si stranisce perché la mezz’ora standard di studio delle medie non le garantisce la sufficienza al liceo, si chiede a più riprese se ha fatto la scelta giusta o deve cominciare a guardarsi in giro per cercare lavoro, possibilmente in miniera.
La piccola ha un po’ smorzato l’entusiasmo iniziale, pur continuando ad apprezzare alcuni aspetti fondanti della scuola media come i due intervalli e la possibilità di andare e tornare a piedi con le sue amiche.
Crede di essere presa di mira dagli insegnanti che hanno avuto i suoi fratelli prima di lei e odia tecnologia con un’intensità che le ho visto rivolgere solo al passato di biete e erbette.
Io osservo in disparte, in parte preoccupata per i risultati e in parte rassegnata al fatto che i cambiamenti portano fatica e ci vuole tempo, impegno e comprensione.
D’altronde, come dice Gabbani, panta rei.