“Eh sì, dobbiamo proprio fare un prelievo di sangue”
“Una puntura?”
“Sì, è come una puntura ma cercherò di fare in fretta”
“Ma io ho paura delle punture”
“A dire la verità anche io ma non diciamolo a nessuno”
“Ma farà male?”
“Solo per un attimo, promesso. Adesso stringi…mi scusi. Stringa forte il pugno. Ecco, bravissimo. Ho quasi finito. È stato più coraggioso di me”
Lui è su una sedia a rotelle, nel triage del pronto soccorso. È un uomo anziano, da giovane deve essere stato alto anche se ora è incurvato, come chiuso su di sé.
Ha la pelle macchiata e capelli bianchi e radi, dei grossi occhiali che non nascondono gli occhi lucidi.
Trema, mentre porge il braccio all’infermiera.
Lei sorride, il tono di voce che si usa coi bambini spaventati ma il rispetto per chi bambino non è più, pur mantenendo intatta la stessa paura.
Nelle ondate di caos del pronto soccorso dove da un paio di giorni transito, per una persona a me cara che ha bisogno di cure, osservo loro.
E penso che la grazia è vestita con un camice verde chiaro.