Poteva scegliere tra giapponese, pizza o piadeneria.
Ha deciso per lo street food festival nel centro della città, rumoroso, caotico e con l’odore di fritto percepibile già al piano meno quattro del parcheggio sotterraneo.
Si è divorato un hamburger delle dimensioni del nostro gatto, l’ha seppellito sotto una montagna di patatine e una volta ripulito l’angolo della bocca col tovagliolo, ché va bene mangiare in piazza ma il decoro ce lo portiamo sempre dietro, ha dichiarato di essere soddisfatto.
Non abbastanza, forse, visto che ha trovato spazio dentro di sé anche per un dolce.
Tra un morso e l’altro al panino è riuscito a giudicare impietosamente la musica anni ottanta che usciva dalle casse disseminate qua e là, e mi ha redarguito imbarazzato quando ho accennato con le mani un accordo di chitarra sulle note dei Bon Jovi.
A teatro si è guardato intorno incuriosito e ha aspettato l’inizio dello spettacolo con il libro di fisica aperto sulle ginocchia, intento a scrivere micro bigliettini da mettere nell’astuccio per la verifica del giorno dopo.
Quando le luci si sono spente ha tenuto gli occhi incollati al mentalista sul palco, che ci ha stupito e incantato per quasi due ore.
Mentre camminavamo verso il parcheggio, lui con la mia giacca perché aveva dimenticato la sua, ha sussurrato che sì, è valsa la pena passare la serata con te, Mother.
Non esattamente una dichiarazione d’amore, ma con l’adolescenza che corre posso essere soddisfatta.