“Mother io vado, ci vediamo alle dodici e venticinque oggi, ti ricordi? Ah stasera ho allenamento, mi vieni a prendere alla fermata?”
“No”
“Mamma io vado, è venuta la mia amica a chiamarmi. Ci vediamo alle due. Non è che magari passi in macchina davanti alla scuola e così ci prendi tu che c’è la salita è fa caldo e siamo stanche e le cartelle pesano, eh?”
“No”
“Mami vado che arriva il pulmino. Ci vediamo alle cinque e venti oggi. Sì, mi ricordo che devo dare i soldi, far vedere quello che hai scritto alla maestra. Ho preso acqua e merenda. Ricordati di comprare qualcosa che sembri sano per la merenda sana di domani. Abbi cura dei gatti. Oggi lavori?”
“Sì, ma arrivo presto se vuoi ti vengo a prendere al pulmino”
“No no, grazie, torno con le mie amiche. Ciao ciao!”
Esiste un momento, che si colloca tra le sette e trentacinque e le sette e trentasette di ogni mattino, in cui il mondo si ferma.
La porta si chiude dietro l’ultima figlia che esce con la cartella in spalla.
Il silenzio cala, il gatto con il naso incollato al vetro resta fuori dalla finestra perché tu non lo fai entrare.
Un momento perfetto in cui nessuno ti chiama, litiga o cerca calzini e quaderni che aveva lasciato senz’altro sul tavolo e qualcuno deve averli spostati perché non si trovano più.
Un momento in cui tutti sono fuori di casa, e pazienza se hanno lasciato dietro di loro solo devastazione, letti da rifare e tazze della colazione da lavare.
Per quel meraviglioso quanto fugace istante, sei sola, anche se in pigiama e col mollettone di zia Assunta sulla testa.
Poi devi andare a lavorare, ma quella è un’altra storia.