Un bambino cade dal carro di carnevale. Non sopravvive.
E non sopravvive nemmeno la pietà, a leggere commenti e opinioni sulla tragedia. Pietre scagliate contro la colpa e la negligenza dei genitori, lapidati sulla pubblica piazza social.
Io ho imparato l’arte dell’indulgenza, in questi quindici anni e mezzo di pratica genitoriale.
La mezzana aveva poco più di due anni. Eravamo su un traghetto che stava salpando da Genova verso la Sardegna, e anche lei si divertiva a salutare con la manina le persone rimaste a terra. Io ero in piedi dietro di lei, che si appoggiava alle mie gambe. Nello spazio di un secondo si è sporta, cadendo sulla terrazza sotto la balaustra. Una gran botta e tanti graffi, lo spavento e il medico di bordo che con sguardo di disapprovazione mi dice “e lei, signora, dov’era? Bisogna stare attenti a questi figli”
Tunisia. La mezzana (sì, sempre lei) sta ballando la baby dance nell’anfiteatro di un villaggio turistico. Suo fratello, mentre si dimena sulle note de “Il coccodrillo come fa” chiede un fazzoletto e io mi giro verso la borsa per prenderlo. Quando mi volto lei non c’è più. La cerco lì vicino, nell’ingresso, per i corridoi, sulle scale, agli ascensori. Mi sembra di disfarmi in tanti piccoli pezzi. Qualcuno guarda vicino alle piscine, magari è caduta.
Arriva una signora e mi dice di averla riaccompagnata in camera, dove c’era la nonna (lei, tre anni appena compiuti era riuscita a mostrare la strada per arrivare alla stanza) e con sguardo di disapprovazione mi apostrofa “poteva stare un po’ più attenta, eh. Chissà in che mani poteva finire la bambina”
Il primogenito è caduto di testa dal letto a castello mentre gli davo la buonanotte, è svenuto. Quando ha riaperto gli occhi mi ha guardato stupito dicendomi “chi sei?”
Al pronto soccorso mi hanno raccomandato di stare più attenta ai miei figli.
La piccola s’è persa al supermercato perché cercava le patatine, al centro commerciale per tornare sulle giostre dalle quali era stata fatta scendere.
Tutti e tre si sono persi a Gardaland, perché non hanno trovato l’uscita giusta del gioco.
A casa, mentre preparavo la cena, i due grandi hanno tagliato i capelli della piccola e l’hanno fatta brindare con un bicchierino di ammorbidente.
Ho imparato l’indulgenza, dicevo.
Non l’assoluzione, non l’indifferenza.
Ho imparato che c’è la responsabilità, la cura, la vigilanza e l’attenzione.
Ma che a volte non bastano.
Ho imparato che di fronte alle tragedie c’è bisogno solo di compassione. E silenzio.