Ore 4.20.
Di notte.
“Mamma!”
“Mammaaaaaa!!!”
“Meow!”
“Ehi, che succede? Chi mi chiama, che c’è?”
(Parole pronunciate rotolando giù dal letto)
“Mamma sono io, ho un dolore fortissimo, aiuto”
“Un dolore? Dove?”
“Qui, aiuto, un dolore fortissimo, pulsa tutto!”
“Meow”
“Adesso la pappa no che è notte, felino. Dai, fammi vedere dove ti fa male”
“Aaaarghh è insopportabile”
(Mentre si tiene il polpaccio con le mani)
“Hai un crampo? Tranquillo, adesso passa”
“No, non è un crampo, molto peggio, è il piede”
“Meow, meow, meow”
(A questo punto il gatto viene buttato fuori di casa)
“Togli la calza, vediamo. Ma non urlare che svegli le tue sorelle. Ah, ma non è niente, un giradito! Rimetti la calza e dormi che tra un’ora e mezza mi alzo”
“Meow!!!”
(Fuori dalla porta)
“Ma io soffro, mamma!”
“Che faccio, amputo?”
“Va bene, dormo”
Il primogenito ha una notevole tolleranza al dolore. Appena lo tocchi, salta.
Praticamente vivo con Dario, il malato immaginario dell’allegro chirurgo.