Il primogenito non è andato a scuola per due giorni di fila e considerato che dopo c’era la domenica fanno addirittura tre.
Era dai mondiali dell’ottantadue che non vedevo un entusiasmo simile, come quello esploso all’arrivo della comunicazione “l’istituto sarà chiuso per neve”.
La mattina seguente si è alzato comunque presto, ha preso coi suoi compagni di merende il treno delle sette e ventisette per andare a vedere Milano sotto la neve.
Pioveva. L’allegra compagine ha ripiegato con un pellegrinaggio a Starbuks, la mecca del cappuccino e del Wi-Fi gratuito.
La mezzana è andata scuola con un paio di Vans ai piedi, ed è tornata coi pinguini nelle calze.
Ha scaricato due applicazioni sul cellulare.
Una che misura i passi e grazie la quale ha scoperto che la sua media di cammino copre il tragitto divano-cucina-divano.
L’altra per tonificare il corpo con venti minuti di fitness estremo al giorno, che comincerà lunedì, anche se non si capisce quale.
La piccola ha passato pomeriggio e serata con un’amica del cuore, insieme hanno giocato alle ragazzine, ribaltato la camera da cima a fondo, mangiato una dose da sei di lasagne per cena.
A tavola hanno discusso animatamente sui metodi educativi e le teorie pedagogiche praticate dalle loro maestre, giungendo alla conclusione di essere sotto dittatura, anziché sotto dettatura.
Io, ho accolto con gioia il lunedì.