Le notizie dalla Svezia arrivano frammentate e sporadiche, si compongono spiando qualche storia su Instagram e aspettando messaggi dal gruppo genitori che sfidando il freddo e il divieto dei figli li hanno raggiunti lassù col primo volo disponibile.
Quello che so per ora è che il primogenito ha molta tosse, per colazione ha trovato gallette di riso e un fritto non meglio identificato, che non è riuscito a usare la nuovissima carta di credito prepagata perché ha sbagliato il codice.
Così, a occhio, si intravedono ampi margini di miglioramento.
La mezzana prepara divisa e ginocchiere, felpe e magliette, panini e succhi perché è arrivato il suo turno di partire, per il torneo dell’epifania al mare, di precetto ogni anno in questo periodo.
È felice di andarsene da casa come un ergastolano a cui viene ridotta la pena, e viene da chiedersi se non venga torturata dal gatto la notte per nutrire un simile desiderio di fuga.
La piccola tace, osserva e, quando nessuno la vede, sorride. Sfrega le mani soddisfatta come chi ha appena messo a segno un gran colpo.
In effetti si potrebbe definire così trovarsi figlia unica, anche solo per pochi giorni, progettare l’invasione del lettone e chiedere lasagne a pranzo e a cena.
Io sogno viaggi esotici e intanto vado a lavorare, godendomi questo conto alla rovescia di figli, i pochi letti da rifare, i biscotti che durano di più.
Ancora per poco.