“Una sorpresa, dici?”
“Sì, sarà bellissimo non credi?”
“No”
“Come no?”
“Ma ti pare che ha voglia di vederti? Se ne sta lì bella tranquilla, si diverte, non pensa certo a voi”
“Sarà questione di un attimo, un saluto, insomma, una sorpresa!”
“Le sorprese non si fanno, mai. Non si torna prima dal lavoro senza avvisare, non ci si presenta in ufficio perché stavi passando di lì e soprattutto non si vanno a trovare le tredicenni giocatrici di pallavolo che sono al mare con la squadra. Tu saresti stata contenta alla sua età di vedere i tuoi mentre eri con le tue amiche?”
“Ma io sono più simpatica dei miei genitori”
“Lo credi tu”
La parola sorprendere viene dal latino, letteralmente significa cogliere di sorpresa, soprattutto il nemico.
La faccia della mezzana ha ben rappresentato questa definizione, non appena ci ha visto sorridenti sugli spalti, a tifare per il torneo della befana.
Una via di mezzo tra il soldato giapponese braccato nella giungla, l’urlo di Munch e l’esorcista quando Linda Blair gira la testa a trecentosessanta gradi, la figliola ha ripreso a respirare solo quando è stato chiaro che avremmo mangiato, dormito e trascorso il tempo altrove ma soprattutto non con lei.
Le sorprese basta, solo a Natale.