Avrei voluto un figlio bravissimo nello sport.
Una figlia con il talento per la danza classica, una appassionata di cucina che già impastava biscotti a cinque anni.
Avrei voluto un figlio con le idee chiare, che dopo la terza media mi guardasse negli occhi dicendo “farò il liceo classico come te, mamma”.
Avrei voluto una figlia mancina, come me.
Avrei voluto un figlio coi capelli rossi, capace di suonare il flauto traverso o il pianoforte.
Avrei voluto una figlia intrepida, cintura nera di taekwondo.
Avrei voluto un figlio capace di dipingere e disegnare, una figlia appassionata di sci, un’altra con le lentiggini.
Avrei voluto una figlia con le fossette sulle guance, l’attitudine al canto, amante della lettura come rifugio dell’anima.
Ho avuto tre figli e ho buttato al vento tutti i miei avrei voluto.
Ho avuto tre figli senza lentiggini e fossette, nessuna ballerina di danza classica né campione di pallacanestro.
Ho scoperto che tutti quegli avrei voluto non erano per loro, bensì per me.
Che erano solo proiezioni e desideri, inconsistenti e aeriformi in confronto a quei corpicini solidi e pieni di sorprese che mi giravano intorno.
Ho scoperto che si può essere molto di più e in tanti modi diversi, che si può fare il salto mortale, i trucchi di magia con le carte, scrivere poesie e inventare giochi.
Ho capito che i miei avrei voluto andavano buttati senza riserve, perché proiettare fantasie rischia di non farti vedere la realtà, e spesso la realtà è molto più interessante e variopinta.
Le proiezioni, meglio lasciarle al cinema.