Seicento chilometri tra un fiordo e un ghiacciaio, eroicamente condotti dal fidanzato.
Una strada a picco sulla scogliera, tra montagne maestose ma fragili e il mare, quasi verde.
Un piccolo paese sul porto, con la chiesetta, il bar e come unico museo la collezione privata di minerali di una signora dal nome profetico, Petra.
Più di trenta uova scolpite, una per ogni tipo di uccello, appoggiate sul lungomare una in fila all’altra.
Tra le dieci cose imperdibili da fare, consiglia l’ufficio del turismo, leggiamo “ascoltare il suono del silenzio”, “ammirare la bellezza della natura”, “incontrare la gente del posto”.
Una pianura immensa, verdissima, punteggiata di pecore e cavalli.
Un altopiano ricoperto di lava, conseguenza di una deflagrante eruzione di tanti anni fa.
Il ghiacciaio, immenso, imponente, sacro, che ci accompagna per oltre due ore di guida. Sotto quell’immensa calotta di ghiaccio sonnecchia un altro vulcano attivo, che prima o poi si sveglierà provocando disastri.
Una spiaggia nera, dove sbocca un fiume che trasporta iceberg dalle forme più insolite e colori diversi, in bianco i giovani, in azzurro i più vecchi. Foche che emergono e scompaiono, giocando tra questi affascinanti pezzi di ghiaccio.
Uno spettacolo di una bellezza disarmante ma di una preoccupazione importante, quella di un ghiacciaio che ogni anno si ritira di oltre cinquecento metri.
L’arrivo a destinazione, con un tramonto sul mare accanto a una piccola chiesa.
Una casa alla fine del mondo, ai piedi di una montagna.
Siamo quasi al termine del nostro viaggio.