Reykjavik ci accoglie un tardo pomeriggio, pulita, ordinata e con un gran traffico per le strade.
Orientarsi non è difficile, anche se le vie hanno i nomi delle lampade Ikea.
Il freddo ci sorprende, abituati come siamo all’afa, al caldo e alle zanzare.
È strano ma bello rimettere giacca e cappello, mentre guardi il mare.
Capisci dal primo in caffè in un bar che il problema non sarà il freddo né il traffico, ma il costo proibitivo di ogni cosa, commestibile e non.
La catena di supermercati più famosa e diffusa ha un porcellino come insegna e la carbonara in scatola come piatto forte. Nemmeno la piccola arriverebbe a tanto.
C’è una grande chiesa Luterana, la più famosa dell’isola, che svetta sulla città insieme a Leiff Eiricksson, l’islandese che primo fra tutti-gli islandesi-è approdato in America.
In riva al mare si staglia l’Harpa, un auditorium simile a un alveare, ricoperto di vetro che cambia colore di giorno e si illumina la notte.
La sera si cammina per il centro, anche se fa freddo, tra giovanissimi sugli skateboard e famiglie con bambini piccolissimi.
“Amore, domani un anello”
“Davvero?”
“No, facciamo il circolo d’oro. Sarà bellissimo”
Ciao, Reykjavík