Gli occhi tra il verde e l’azzurro, a seconda del tempo, l’umore o chissà che altro, le ciglia nere più lunghe e invidiate della famiglia.
Il ciuffo ribelle e solo apparentemente spettinato a nascondere i brufoli sulla fronte.
Le labbra piene, un regalo mio, che distese scoprono una fila di denti finalmente regolari dopo anni di apparecchi e sale d’attesa dal dentista.
Le spalle larghe e gli addominali a vista, ché le giornate passate tra bici, campetto e palla da basket segnano anima e corpo.
I piedi da tempo più grandi dei miei, vestiti da un paio di scarpe che ha desiderato per mesi, che la sera chiude in casa per paura del ladri mentre la bici rimane fuori.
Le dita lunghe, agili e veloci intorno a un mazzo di carte, che appare, scompare, cambia forma in un ventaglio o un serpente.
Una vita sociale intensa e regolare, tanti amici che condividono passioni, uscite, partite e stupidera.
Il ragazzo grande di casa sta vivendo appieno la settimana sorelle free, svegliandosi tardi senza che nessuno stia litigando in sala per il telecomando, finendo discorsi interi senza che qualcuno lo interrompa sul più bello.
Si prepara per la prossima partenza per la montagna con l’entusiasmo del soldato che torna dal fronte.
Traghetta beato tra un campetto e un autoscontro, va a lezione di inglese per recuperare il debito a settembre, legge un libro che gli ho consigliato e mi chiama mamma anziché mother.
La sera tardi guardiamo un film insieme, possibilmente pauroso, io mi addormento sfinita e lui mi sveglia quando è finito.
È molesto, vitale e irresistibile, come solo un primogenito adolescente temporaneamente figlio unico sa essere.