Lei ha un nome antico che significa inizio, dei capelli lunghissimi striati di grigio raccolti in una crocchia tesa dietro la testa.
Gli occhi velati dietro gli occhiali spessi, un po’ per l’età e forse per le lacrime che sono passate nel corso di una vita intera.
Abita la nostra corte da più tempo di tutti, condivide col primogenito il compleanno, osserva attenta passanti ed emozioni mentre spazza fuori dalla porta di casa.
È minuta ma sempre con la testa alta, risponde a tono a chi calpesta la sua proprietà o i suoi diritti.
Ha accolto col sorriso, uno dopo l’altra, i bambini e le bambine nati nel cortile. Li ha incoraggiati nei primi passi e si è accanita ogni estate contro i palloni, le bici, il chiacchiericcio costante e molesto dei pomeriggi di gioco.
Per un po’ è uscita di meno, forse per la salute o forse perché tanto rumore rimbomba forte, nella solitudine.
Ieri ha suonato il mio campanello come faceva una volta, con la crocchia stretta sulla testa un vassoio colmo di tagliatelle fatte a mano.
Le sue, mani.
Come faceva quando il grande era piccino e non mangiava quasi nulla, a parte la pasta fresca della signora A.
Si fa presto a chiudere una porta, ci vuole tempo e fatica per riaprirla.
Ci saranno ancora sgridate e lamentele, palloni sequestrati e bambini urlanti, in questa estate appena cominciata.
Ma stasera c’è un piatto di tagliatelle al ragù che ci aspetta.
Grazie, signora A.