Diario di bordo
Giorno sei
Saranda
Albania
“E poi zia capisci, è un complotto, chissà se è morto per davvero, un video di YouTube dice che…”
“Uh, interessante”
“Ehm, scusate, state parlando del rapper ucciso?”
“Sì, come fa a saperlo?”
“Bambine, presto, chiamate vostro fratello”
“Mother, che c’è?”
“Guarda un po’? Questo ragazzino con la felpa come la tua e il ciuffo come il tuo sta parlando del rapper ucciso l’altro ieri con sua…”
“Madre. Però mi chiama zia, è difficile da spiegare”
“No no capisco! Lui mi chiama mother o Maria! Sempre”
“Ah, ti chiama per nome?”
“Macché, io mi chiamo Barbara”
“O cielo, non c’è limite al peggio. Sono due giorni che non si parla d’altro e porta il lutto al braccio perché hanno sparato a un rapper e secondo me hanno fatto pure bene, ma l’avete visto?”
“Concordo. Pregiudicato, pluricondannato per violenze, oltre che una musica da schifo”
“Ma anche il tuo è fissato con le marche, la musica rap e parla una lingua incomprensibile?”
“Sì! E le scarpe? Ne vogliamo parlare?”
“Lascia stare, dovrei lavorare solo per comprargli quelle”
“Ma voi non capite, non ascoltate la scena trapper americana, non siete hype”
“Cosa non siamo?”
“Non chiedere, certe volte è meglio non sapere”
Ci sono degli incontri, a metà di un corridoio ricoperto di moquette colorata verso prua, che si rivelano salvifici.
Meglio di un gruppo di auto mutuo aiuto, ti regalano la condivisione di cui avevi bisogno e all’improvviso ti senti meno sola.
Madri di adolescenti, vi aspettiamo al ponte 11, terza cabina destra. Vi sentirete meglio.