La maglietta bianca con le note appiccicate sulla pancia e i pantaloni blu, raccattati all’ultimo nel cassetto della sorella maggiore e per questo risvoltati alle caviglie, ché in queste occasioni il dress code è sempre rigido e non negoziabile.
In piedi nelle file dietro, destino di tutti i bambini un po’ più alti della media.
Lo sguardo fiero, l’espressione di chi ha polemizzato con l’organizzazione, la scaletta e la scelta dei brani neanche fosse il direttore artistico di Sanremo.
L’emozione nella pancia, tra le mani che si tormentavano nervose e le pellicine dei pollici mangiucchiate.
L’ansia del debutto, che ammutolisce taluni e rende logorroici altri, e indovinate un po’ che categoria c’è toccata in sorte.
Le dita a casaccio sui buchi del flauto, l’esortazione della maestra a tenere schiena da coro, pancia da coro, chiappette da coro.
E tra una canzone sugli egizi con una meravigliosa Iside su una sedia a rotelle di un rosa abbagliante, un faraone che in realtà arriva dal Brasile, un’orchestra di fiati, archi e tastiere, un insieme indistinto di suoni, acuti e chiacchiericci, io l’ho sentita forte, quella vocina che amo tanto.
Signori e signore in piedi, canta la piccola.