È tra il dentista del primogenito, che al controllo annuale ci dice di stare tranquilli e aspettare che cresca, sperando che il pezzo montato al contrario resti lì senza dare fastidio.
È tra il cartoncino colorato settanta per cento che dimentichi di acquistare perché prima ancora ti sei dimenticata di guardare gli avvisi sul diario, la verifica sugli Assiri e le decisioni da prendere per le vacanze estive in autonomia.
È tra la riunione dei genitori della classe della mezzana, dove non riesci a partecipare perché lavori anche se è domenica, e sarebbe tuo preciso dovere visto che più di un gruppo di ragazzini di seconda media questi ragazzi sono una banda di sciamannati e tua figlia non si tira indietro se c’è da far festa durante la lezione.
È tra le pieghe della sveglia alle sei del mattino che si insinua la follia e serpeggia il disagio, che ti spinge a compiere gesti scellerati per i quali si può solo prendere a testate il muro e maledire la propria stupidità.
La tragedia in questione è la scelta malata di andare dalla parrucchiera e dire “voglio una permanente” quando la sola parola ti terrorizza come tatuarsi un drago sul petto o dire “sì, lo voglio” dietro un altare e davanti a cento persone.
Il dramma è entrare immaginandosi con i ricci di Julia Roberts nel pieno degli anni ottanta e uscire una via di mezzo tra il barboncino nano di tua zia e la pantera rosa dopo la scossa elettrica.
Si annida lì, tra la stanchezza cronica e una testa piena di ricci afro, una sola certezza.
Chiudersi in casa per i prossimi sei mesi almeno.