Non sono piccoli ma nemmeno grandi, fuori dall’infanzia ma ben lontani dall’essere adulti, né carne né pesce, si racconta.
E invece no, qualcosa sono, questi ragazzi e ragazze vestiti uguali con le cuffie nelle orecchie, il ciuffo sugli occhi e il cellulare, le caviglie scoperte con la neve sotto i piedi, che abbiamo in casa, in classe o che incontriamo per strada.
L’adolescenza è un drago.
Grande, maestoso, pericoloso.
Nascosto, all’inizio.
Speventato dal suo potere, dal fuoco che sputa quando meno se lo aspetta.
Qui si sputano frasi, che bruciano come le fiamme. Parole che sanno di rivendicazione, affrancamento, polemica. Parole che mettono distanza come un fuoco che non scalda ma ustiona.
Il drago protegge qualcosa di molto prezioso.
Nella mitologia il vello d’oro, i tesori, le principesse.
Nei ragazzi e le ragazze protegge l’adulto che sarà, ancora indefinito e incerto, e per questo così fragile. Protegge speranze, sogni, ambizioni, la costruzione di un sé che è solo un po’ più in là delle fondamenta.
Nel nuovo testamento il drago rappresenta il demonio. In Cina è portatore di saggezza e conoscenza.
Qui è l’alternanza di buono e cattivo, piccolo e grande, autonomo e dipendente, riconoscente e ingrato.
Custodisce paure silenziose e non dette,
un umore che vaga ondivago tra gli estremi, disorientando e stancando loro e chi li accompagna.
È l’inquietudine, il cambiamento e la metamorfosi.
Il drago ti protegge ma ti tiene rinchiuso, spesso lontano dagli altri, e per avvicinarti serve un’armatura, per non farsi male.
La religione ci racconta che i santi uccidono i draghi, mentre le sante li portano al guinzaglio.
E mente il drago resta un archetipo di paure nascoste, ci insegna che queste paure non vanno uccise ma maneggiate, addomesticate.
L’adolescenza è un drago, che può volare ma resta, che adesso occupa tutto lo spazio.
Aspettiamo che si rimpicciolisca, fino a stare in un angolo, mentre loro diventano grandi.