A volte penso di aver fatto qualcosa di molto brutto, in una vita precedente.
Un eccidio di bambini forse, o una qualche forma di schiavismo e di crudeltà verso l’umanità.
Il karma mi appare come l’unica spiegazione possibile a una due giorni di colloqui generali coi professori del liceo, per verificare l’andamento scolastico del figlio primogenito.
Perché se non vai sembra che non ti interessi, se vai nelle comodissime ore di ricevimento infrasettimanale ti sei giocato le ferie estive.
E allora, ci vai.
Parcheggi nel primo posto libero, a cinque chilometri dalla scuola, cammini a passo spedito cercando di sorpassare altri genitori e entri a scuola, affannata e sudata.
Qui fai code che nemmeno alla Mediaworld la mattina del black friday con l’iPhone X al cinquanta per cento di sconto.
Neanche a Gardaland per salire sullo Space Vertigo a ferragosto.
Neppure su ticketone per la prevendita del concerto dei Coldplay.
Le regole della coda sono poche, ma inderogabili e insindacabili.
Vuoi parlare con il professore di inglese, mentre aspetti quella di lettere e hai ancora centoventi persone davanti, e sono nella stessa aula? Accomodati.
Poi ritorni in fondo alla fila.
Ti scappa la pipì e devi andare urgentemente in bagno?
Prego.
Poi ritorni in fondo alla fila.
Hai capogiri, tachicardia e nausea dopo ore passate in piedi, vuoi andare a sederti nella sedia all’angolo? Fai pure.
Poi ritorni in fondo alla fila.
Ma non ti arrendi e arriva il tuo turno, ti siedi trionfante dall’altro capo del banco e ascolti rapita tante belle parole sul tuo figliolo. Peccato per quell’abbigliamento dai colori squillanti, certo, ti dice l’insegnante.
A quel punto il tuo tempo è scaduto, e tu esci pensando che il primogenito non ha di squillante nemmeno le calze, e la sua icona di stile è il sobrio total black di Lord Voldemort.
Te ne vai così, tenendoti i tuoi dubbi.
Perché non vuoi tornare in fondo alla fila.