“Mamma, mamma, mamma”
“Ossignore che spavento! Perché mi hai svegliata? Stai male?”
“No, tranquilla. Volevo solo essere sicura che c’eri”
“Amore mio, sono le tre di notte. Ma dove caspita dovrei essere?”
“Non so, ieri sera eri al lavoro”
“Ecco, appunto, ieri sera. Poi sono tornata. Ti ho dato un bacio ma tu ti stavi addormentando”
“Vabbè, mi sono svegliata e ho pensato di controllare. Si è fatto tardi. Dormi bene mamma”
C’è stato un tempo, quando la mezzana era solo uno scricciolo con una testa piena di riccioli castani e gli occhioni sgranati sulla sua mamma e sul mondo, in cui l’ansia da abbandono era quasi quotidiana.
Se stavamo per uscire, pronti con giacca sciarpa e scarpe, lei ci guardava da sotto in su e domandava “vengo anche io?”
Arrivati a destinazione, spenta la macchina e slacciate le cinture mi chiedeva “scendo anche io?”
Ora, io non so da dove arrivi questa sindrome da Calimero il pulcino nero.
Non mi spiego quando si insinui in lei lo spirito dell’orfanello Remì.
Non comprendo come si possa essere una bimba amata e accudita e identificarsi con la piccola fiammiferaia.
Ho in mente un figlio maggiore che non si è mai posto domande, forse perché investito dal sacro fuoco della primogenitura.
Ricordo una piccola che si è fatta largo in famiglia a suon di gomitate e strilli d’aquila.
Forse è stare nel mezzo, che confonde.
Che schiaccia, limita, perché sia a destra che sinistra, sia prima che dopo, trovi qualcuno.
Perché sarà pur vero che in medio stat virtus. Ma la mezzana ancora non lo sa.
😍🖤
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