“Buongiorno signora, favorisca i documenti, prego”
Ho la patente da più di vent’anni e negli ultimi dieci sono stata fermata per controlli dalle forze dell’ordine così poche volte da contarle sulle dita di una mano.
L’ultima occasione fu un inseguimento da parte della Polizia Stradale del mio paese -parlavo col cellulare, era tutta colpa mia, lo so che non si fa, non è più accaduto- terminata con una paternale infinita dello zelante vigile e della figlia mezzana, seduta dietro. “Signora, sa che multa potrei darle? È gravissimo” “Eh sì mamma, il signor vigile ha ragione. Glielo avevo detto anch’io comunque” “Multatemi e finiamola qui, per carità”
Nell’ultima settimana la paletta rossa si è alzata al mio passaggio per quattro volte. Quattro. Due volte la polizia, una i carabinieri e persino la finanza.
Ogni volta è andata bene, sono stata diligente e non c’è stata contestazione alcuna.
Nonostante mi assalga il panico alla vista del milite di turno con la mitraglietta al braccio, come se trasportassi nel baule chili di droga o il cadavere del vicino che continua a suonare il flauto, invece che il sacchetto dei libri della biblioteca e una confezione da sei di succhi alla pera.
Che poi, se non mi decido a riconsegnare i libri avranno sì un buon motivo per arrestarmi.
Mi domando tuttavia le ragioni di questi numerosi controlli.
C’è un pericoloso ricercato in fuga con una Dacia Duster nera rigata sul fianco sinistro?
C’è un numero minimo di volte per essere fermati e si sono accorti che io non ne ho avute abbastanza?
L’Interpol ha diramato la descrizione in una criminale dai capelli ricci e rossi?
Ho fatto qualcosa di grave e non lo so?
Interrogativi scottanti, ne convengo. È che andando avanti così rischio di diventare paranoica. Giuro che ieri, mentre girovagavo tra camicette fiorate e gonne zebrate, mi guardava con sospetto anche la nerboruta guardia all’ingresso dell’H&M.