C’è chi si commuove per un’alba, un tramonto, un’opera d’arte o un tiramisù ben fatto.
Io quando ero incinta piangevo davanti all’acquario delle aragoste dell’esselunga, per il dispiacere di vedere quelle povere bestie -che mangio volentieri, tra l’altro- con le chele legate.
Non sono dunque da prendere alla lettera e forse nemmeno il massimo della credibilità.
Però negli ultimi giorni ho capito che mi muove a commozione un pullman gran turismo che arriva in lontananza, due facce stravolte con gli occhi felici, la consapevolezza che i miei vagabondi hanno preso qualche centimetro e molta esperienza.
Mi commuove la nostalgia che hanno degli amici e delle montagne, che mi dà la misura di come sono stati bene e quanto hanno dispiegato le ali della crescita.
Mi commuove ricordare che la mia quotidianità è un caos calmo e va bene così, che disfare uno zaino mi regala una montagna di mutande e magliette da lavare e altrettanti ricordi da ascoltare.
Che passare da un figlio a tre dalla sera alla mattina è come accelerare da zero a cento con una Ferrari.
Ti manca l’aria.
Poi inspiri, li guardi tutti insieme e per un attimo senti che l’universo è tornato al suo posto e il tuo cuore può ricominciare a battere al ritmo di sempre: di corsa.
E poi espiri mentre loro cominciano a litigare, pretendere attenzioni esclusive, prendersi in giro.
Allora sospiri, perché sei risalita sulla giostra, e per un po’ non si scende più.
Bentornato primogenito, bentornata mezzana.