Lo stesso pullman bianco stamattina presto ha caricato i due grandi e i loro zaini e nel tardo pomeriggio ha scaricato la piccola e la sua valigia nel piazzale dell’oratorio maschile.
I maggiori di casa, veterani del campeggio e avvezzi al tempo lontani da casa mi hanno salutato brevemente per poi correre dai loro amici “mother, un saluto discreto qui” “qui? Dietro la macchina nel parcheggio? Non ti vergognerai mica di un abbraccio e qualche bacetto, vero?”
“Mamma, sento che mi mancherai tantissimo quest’anno”
“O tesoro, vuoi qualcosa di mio da tenere vicino? Tieni, prendi il mio braccialetto”
“Cosa? No no grazie. Per combattere la nostalgia c’è un solo modo. Dimenticarti. Ciao ciao, ci vediamo tra dieci giorni”
E così sono partiti, per andare incontro alla sorellina, uno scambio di prigionieri sotto l’azzurro terso dei cieli della val d’Aosta.
Poche ore dopo ero di nuovo lì nel piazzale, in trepidante attesa di riabbracciare la piccola campeggiatrice.
Che mi ha salutato da dietro il finestrino come la regina quando si affaccia davanti al popolo, che è scesa dai gradini del pullman con una medaglia di cartone al collo e la fascia di “miss tenerina” intorno alla vita.
Che ha salutato amici e parenti, abbracciato il piccolo gatto e chiesto cosa si mangiava per cena, con le unghie nere, le ginocchia sporche e un sorriso radioso.
Che ha pianto perché le manca la sorella, singhiozzato per il fratello, esultato quando ha capito che poteva dormire con la sua mamma.
Ben tornata, piccola mia.