Per anni, e fino a non molto tempo fa, la giornata di oggi era contrassegnata da una croce nera sul calendario.Listata a lutto sull’agenda, segnava la fine della mia libertà e l’inizio di un’epica fatica.
Fino a quando riempire il tempo dei bambini è stato una mia responsabilità, un dovere e una necessità.
Fino ad allora l’ultimo giorno di scuola è stata una giornata nefasta, bagnata da lacrime amare e da un lunghissimo conto alla rovescia in attesa dell’arrivo di settembre.
Qualcosa è cambiato, però.
Sarà che loro stanno crescendo, sarà che io sto invecchiando, ma quel giorno della prima settimana di giugno non mi atterrisce più. Anzi. Lo aspettavo, quasi.
Aspettavo di spostare la sveglia un’ora più in là, di smettere con le corse perdifiato dietro uno scuolabus giallo che se ne va, di non dovermi ricordare della merenda sana il venerdì.
Aspettavo di passare un pomeriggio intero senza pagine di corsivo, equazioni, letture in tedesco.
Aspettavo di non sentire più flauto e pianola, di non dovermi preoccupare se la divisa di basket è pulita o la maglia di pallavolo stirata, di correre in cartoleria un giorno sì e l’altro pure.
Certo, ci sarà da fare.
Ci sarà un gran via vai di ragazzi e ragazzini, bambine e bambini per casa. Pranzo, merende e cene dove aggiungere un posto a tavola o magari anche due.
Certo, ci saranno i compiti delle vacanze. Sui quali, però, abbiamo sempre un po’ barato.
Ma non ditelo alla maestra.