In principio fu il primogenito, una domenica pomeriggio in una palestra della provincia. Neanche cinque anni e un kimono bianco troppo grande risvoltato, a confrontarsi con la prima gara di arti marziali. Cadde a terra dopo pochi istanti e rimase lì a ammirare il soffitto con le luci al neon per un tempo che mi parve infinito. Anni dopo arrivò il nuoto agonistico, e io imparai a trascorrere i fine settimana in piscine vicine e lontane, con un’umidità percepita che nemmeno in Bangladesh, a fare il tifo per il ragazzino sbagliato a causa di una incipiente miopia.
Fu poi il turno della mezzana prodigarsi nella nobile arte della danza classica quando era ancora all’asilo. Un anno di chignon, collant rosa e tutù, culminato con un indimenticabile saggio di due ore, durante il quale la dolce creatura rimase sul palco una manciata di secondi, nascosta dietro a una bambina più alta.
Di seguito un susseguirsi di tornei, trofei, gare, saggi, amichevoli, dimostrazioni. Di pallacanestro, pallavolo, tennis, ginnastica, palla rilanciata e chi più ne ha più ne metta.
Ultima in ordine di tempo e di piazzamento la gara intersocietaria domenicale di ginnastica artistica, cui la piccola ha partecipato agguerritissima. Nemmeno questa volta siamo riusciti ad aggiudicarci un posto sull’ambito podio, nonostante l’impegno profuso -dalla piccola- e le preghiere a tutti gli dei -da me-. In compenso, come accade da quella lontana domenica sul tatami, io mi emoziono appena si diffonde la prima nota di una canzone di Mika per il palazzetto. Ogni volta come fosse la prima. Forse una medaglia spetterebbe a me.