Ci sono tre cose che ti vengono particolarmente bene con me, caro il mio primogenito preadolescente.
La prima è farmi ridere, spesso. Di una risata di pancia che ti lascia quella bella sensazione addosso. Mi fai ridere perché riconosco la mia impronta nella tua ironia, perché sei pungente senza fare male, comico quanto basta per scacciare la tristezza, a parte quando coi tuoi amici vi divertite a fare le scoregge con le ascelle.
La seconda è farmi perdere la calma, la trebisonda e il buon senso quando entri in modalità oppositiva e per farti uscire servirebbero legnate ripetute. Quando mi sfidi, con lo sguardo e le parole. Quando sei sarcastico con la mezzana e prepotente con la piccola, quando diventi supponente e irriverente.
La terza è l’onda di orgoglio che mi travolge in certe occasioni, che mi fa piangere, sorridere e aprire la coda da pavone. Che mi fa esclamare ad alta voce “quello è figlio mio!” a chiunque abbia voglia di starmi ad ascoltare. Che mi fa dimenticare le notti insonni di quand’eri neonato e l’istinto omicida quando mostri il tuo lato oscuro.
Questa domenica è stata la volta della coda di pavone, ragazzo mio adorato. Vederti lì, sul parquet lucidato di un palazzetto gremito, con la divisa bianca e nera sempre troppo grande, a dare il fischio d’inizio per la nostra squadra di serie A. Nello stesso palazzetto dove il mio papà mi portava la domenica pomeriggio a fare il tifo. Oggi sono qui a fare il tifo per te, col pensiero a quel nonno in cielo, con la sciarpa biancorossa che incita gridando il suo primo nipote. E il suo orgoglio si sente fino agli spalti quaggiù.