Dimmi quando è successo, chè io non me ne sono accorta.
Dimmi quando è successo che sei diventata più alta di me, forse nella notte. Quando il tuo viso ha perso la morbida rotondità dell’infanzia affilandosi in quei tratti da adulta, rivelatori ormai di quanto bella sarai da grande. Quando quegli occhioni marroni hanno smesso di incantarsi davanti al mondo che ti mostravo, e si sono rivolti altrove, a un’amica, un cellulare, fuori da un finestrino. Quando le chiacchiere sono diventate silenzio, la fiducia dubbio, l’ammirazione critica. Quando ho smesso di essere concava e tu convessa, o forse io sono sempre uguale ma il tuo corpo lungo non si adatta più a stare comodo fra le mie braccia. Sarà che io, mentre ammiro quella ragazzina alta coi capelli lunghi che gioca a pallavolo sorrido pensando a una bimba ricciolina che combinava disastri. La maternità è una danza, con una precisa coreografia. Comincia con le braccia intorno al corpo a sorreggere, cullare e consolare. Poi la schiena curva ad accompagnare e risollevare i primi passi incerti. Una corsa veloce a evitare un pericolo, a chi va più veloce e chi arriva per primo. Le braccia lungo i fianchi e una mano nell’altra per attraversare una strada, per salire le scale, per entrare nel mare. Le gambe piegate per guardarsi negli occhi, le braccia allargate per tuffarsi dentro, le mani in alto per dichiararsi in arresto. E i sorrisi, le smorfie, le facce buffe e gli occhi severi. La maternità è una danza di cui imparo i passi e a volte sbaglio, inciampo, non sto a ritmo. È un passo a due con prese difficili, lanci e volteggi. Ci vuole talento, applicazione e passione.