Lo sguardo serio, fisso e concentrato. Gli occhi allungati da un cromosoma in più dietro due lenti coperte di ditate su una montatura rossa, come le sue guance e il maglione che indossa. La lingua sul labbro nel momento di massima concentrazione, le briciole di brioche sul naso. Abbandonati sul lungo tavolo di legno i resti di una abbondante colazione, un bicchiere di succo vuoto e una scacchiera. Accanto una mano che tamburella nervosa, del giovane uomo seduto di fronte al bambino. I capelli scuri ondulati a coprire il colletto della camicia a quadri, un bracciale di corda etnico sul polso. E una sedia a rotelle dalle ruote colorate. C’è brusio nel bar del centro, il tintinnare dei cucchiaini che mescolano lo zucchero nel caffè, il soffio del vapore nella cuccuma per il cappuccino, le notifiche dei cellulari, le chiacchiere mattutine. C’è silenzio e concentrazione al tavolo della scacchiera. La luce entra dalle vetrate in ampi fasci, di quelli che fanno danzare la polvere e illuminare i sorrisi.
Il bambino si gratta la punta del naso, e lentamente fa la sua mossa.
“Scacco! Scacco matto! Ho vinto!”
“Ancora? Non è possibile, mi arrendo”
“E allora la colazione la paghi tu”
“Perché, tu avresti mai potuto pagarla?”
“No, ma così è più buona”
La diversità, a volte, è solo una differente normalità.
Splendido. Poche pennellate di gusto soave e finalmente torna ad essere piacevolmente normale ciò che è normale, tranne che per occhi offuscati da cattiva quotidianità.
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Grazie, Fulvio. Sono d’accordo con te. Dobbiamo solo scegliere con che sguardo guardare il mondo
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