“Sessanta, settanta, settantacinque…un euro”
“Signora! Signoraaaa”
“Dice a me?”
“Sì, a chi altri sennò. Non stia lì a buttar via i soldi che il bigliettino del parcheggio glielo dò io che vale ancora un’ora e venti”
“Oh, grazie. Che gentile è lei”
“Per così poco. Sono andato dal medico perché la bronchite non ne vuole sapere di passare, stavolta. E dal dottore ci vuol sempre un mucchio di tempo così metto un’ora in più per non prendere la multa. Ma oggi era malato pure il dottore e buonanotte. Comunque mia nonna mi diceva sempre che c’è un solo modo di essere: gentili. Il resto è fuffa. E io che ero piccino me lo ricordo ancora e lo dico sempre ai miei nipoti, che però non mi stanno mica tanto ad ascoltare perché son sempre lì col telefono. Però ogni sera mi porto a casa una gentilezza. Lei è quella di oggi. Adesso la saluto caramente, passi una buona giornata”
È in una panda bianca rimasta accesa, con la marmitta rumorosa e scoppiettante. Tossisce a intervalli regolari e tiene in mano un fazzoletto di stoffa azzurro con cui si asciuga il naso. Ha i capelli bianchi e occhiaie scure, rughe profonde dalla fronte al collo. Ha sventolato il biglietto del parcheggio fuori dal finestrino come un vessillo prima di consegnarlo solennemente tra le mie mani e farmi dono della saggezza di sua nonna, lui a sua volta nonno. Accade anche questo, in una mattina ghiacciata, nel parcheggio grigio di una stazione lontana.