Abito in una piccola frazione, di un paese da poco diventato città. È un quartiere tranquillo che si percorre in pochi passi incontrando la chiesetta, il bar, l’asilo e la parrucchiera. La viabilità è così ben congegnata che per andare da A a B si deve passare pure da C, D, E, grazie a un senso unico senza senso. Ci si conosce quasi tutti, a volte più di quanto sarebbe necessario. Ci si incontra ogni mattino, chi da solo, chi coi figli e chi col cane. Come in una delle prime scene della Carica dei centouno, ogni padrone somiglia al cucciolo che l’accompagna. C’è la bella signora col Labrador da pubblicità, la sportiva col pastore tedesco, l’anziana antipatica col botolo ingrugnito. C’è il signore che dopo dieci anni di quotidiani incroci ti saluta con un “salve” perché non ha ancora capito se darti del tu o del lei; c’è la bella vicina bionda a cui chiedere lo zucchero quando è finito, il vicino ex candidato sindaco che ti aiuta a portare fuori la spazzatura, la giovane mamma dolce e accogliente che bada ai tuoi gatti quando non ci sei. C’è un cortile che accoglie una moltitudine di bambini dalla pancia alle medie, un canestro, qualche pallone, le biciclette. C’è chiasso e vociare, liti e merende, giochi e cadute. C’è l’anziana vicina che si lamenta del baccano, un’altra del pallone. Ci sono schiamazzi, allegria e qualche parolaccia dei più grandi. C’è un andirivieni perpetuo di bambini per casa, c’è un piatto di pasta al pesto in più per chi ha voglia di fermarsi a cena. I tornei serali di palla prigioniera, muretto e campana, organizzati sul gruppo whatsapp, che sono pur sempre nativi digitali.
Chissà, forse un giorno sarò anche io un’acida vecchietta che si lamenta per il rumore, ma per ora tutta questa confusione mi fa felice. Come ieri sera la piccola, che ha interrotto un lungo monologo per rispondere al campanello.
“Mamma, finisco dopo di raccontarti, adesso mi aspettano giù per giocare. Tieni il segno dei miei pensieri, che poi continuo”