“Mother, allora ciao. A tra una settimana. Ti chiamo io, anzi ci sentiamo su whatsapp”
“Buona vacanza! Divertiti e gioca a pallacanestro come non ci fosse un domani. Una cosa: magari mi metterei qualcosa sopra quella elegantissima canotta gialla e viola dei Lakers”
“Mother, si chiama estate”
“No, polmonite”
Segue una virile pacca sulla spalla, come è uso salutarsi fra uomini. Mi trattengo e non lo sbaciucchio selvaggiamente perché so che, davanti ai compagni di squadra, sarebbe la morte sociale.
“Mamma mamma che bello si parte! È un anno che aspetto. Sul pullman mi siedo dietro con le mie amiche così ascoltiamo la musica. Mi tieni tu la felpa per favore?”
“No, la felpa te la rimetti perché non stai andando a Cayo Paloma ma in un campeggio in montagna, anche se a vederti coi calzoncini non si direbbe”
“Abbi fiducia: porterò il sole”
Segue un lungo abbraccio, baci e stritolamenti vari, ché con una femmina di quinta elementare pare sia ancora concesso, anche in luogo pubblico.
Io da brava mamma mi assicuro che siano ben coperti, che abbiamo abbastanza calze e mutande e di essere puntuali alla partenza del pullman. Mi commuovo il giusto, mi gusto la loro mancanza, privilegio raro.
I figli maggiori sono partiti, dando inizio al loro peregrinare estivo.
Ognuno per la sua personale avventura, ognuno coi propri amici, ognuno con le proprie passioni. Ma con loro c’è anche un po’ di me.
Il mio cuore quest’anno viaggia parecchio.