C’è sempre un momento, prima di una scelta, in cui sei ancora in tempo per fermarti. In tempo per un passo indietro, un cambio di treno o di direzione. In tempo per avere paura o coraggio, per prendere o perdere, salire o scendere.
Sabato scorso ho ufficialmente perso la mia battaglia educativa con la figlia di mezzo. In deroga a tutti i miei principi pedagogici, ai miei studi e al buon senso, ho ceduto alle pressioni esogene e endogene. Coerenza e principi si sono infranti contro il potere delle nuove tecnologie. In una giornata primaverile, con un cielo così azzurro e un sole tanto caldo da volersi solo sdraiarsi su un prato, ho raggiunto un gigantesco e trafficato centro commerciale in compagnia di una bambina eccitata e sorridente. Una bambina che si appresta a ricevere il sacramento della Cresima -che da quest’anno si riceve in quinta anziché in prima media- e i regali che ne conseguono, primo fra tutti il tanto desiderato cellulare. Poco importa che io abbia ripetuto per anni che un desiderio non è un diritto e che ogni cosa ha il suo momento. Siamo riemerse da quella bolgia infernale di persone, carrelli e sacchetti due ore dopo, quando il sole non era più tanto caldo. Tra le mani la preziosa scatoletta, sul viso il sorriso più radioso.
“Mamma grazie, è stato il giorno più bello della mia vita. Ancora meglio di quando a quattro anni sono stata tre giorni all’ospedale e tu sei stata con me notte giorno e la nonna mi ha regalato la barbie sirena”
“Lieta che tu sia felice, un po’ meno della classifica dei tuoi ricordi più belli. Comunque. Ricordati che potrai scaricare whatsapp e applicazioni solo a settembre, quando sarai in prima media”
“Sicuro, mamma cara”
“E che il telefono non si tocca fino alla Cresima”
“Certo, mammina”
Ho l’impressione di avere perso parecchia credibilità.