Galleria di un centro commerciale, tarda mattinata di un giorno infrasettimanale.
A pochi passi di distanza si trovano delle panchine a esse, strategicamente posizionate di fronte ai negozi di abbigliamento più famosi. Uno spazio pensato per riposarsi dalle fatiche dello shopping, che in realtà diventa luogo di ritrovo o oasi nel deserto per due categorie di persone: le mamme che allattano i neonati e, ben più numerosi, gli uomini che aspettano mogli, compagne, madri o amanti mentre perlustrano ogni anfratto del negozio.
I signori in attesa sono di tutte le fasce d’età, dall’adolescente al nonno, uniti nella sventura di dover aspettare una donna intenta a scegliere un capo di abbigliamento e che hanno udito la frase “ci metto un attimo” qualche mezz’ora prima. Il signore che attira la mia attenzione è un uomo sulla settantina, capelli bianchi, baffi ordinati e squadrati. Vestito di tutto punto, le scarpe in tinta col maglione e il colletto della camicia perfettamente stirato. E’ seduto con le gambe accavallate, un gomito piegato sul ginocchio, la mano che sorregge il mento in un’espressione dubbiosa. La fronte aggrottata, gli occhiali ben saldi sul naso. Lo sguardo rivolto allo smartphone che tiene con l’altra mano, e avvicina e allontana per mettere meglio a fuoco. Scuote la testa e sospira, sconsolato. Frattanto un bella signora e una giovane ragazza, probabilmente moglie e figlia, escono dal negozio con numerosi sacchetti tra le mani. Guardano l’uomo, si fissano e ridono.
“Amedeo, cosa combini?”
“Io? Cosa combina questo affare! Dice che per accedere al wi-fi devo indicare l’indirizzo e-mail e il nome utente. Ho già scritto quattro volte il mio nome e l’indirizzo ma non funziona”
“Papà, scusa, ma che indirizzo hai messo?”
“Quello di casa, no? Che domande sono?”
“Amedeo, senti, ma perché hai bisogno del wi-fi?”
“Come perché? siete via da un’eternità, mi annoiavo e volevo sentire un po’ di musica.”
Eh già. A cosa serve altrimenti il wi-fi.