Nella mia casa vive, da ormai quasi tre anni, un gatto di nome Felix.
Un felino impegnativo, figlio di una gatta selvaggia e poco incline alla maternità, che ha preferito i vagabondaggi nei boschi alla cura dei suoi piccoli micini.
Lui aspettava in una calda cesta con i suoi fratelli e, non appena ha udito salire dalle scale tre bambini eccitati e vocianti è corso a rintanarsi sotto un vecchio armadio di legno scuro. Per questo è stato il prescelto. E’ venuto a casa con noi quel giorno stesso, chiuso in una gabbietta di fortuna. Si è affiliato alla nostra famiglia con l’ardore di Remì, il piccolo orfano in cerca della sua mamma in giro per il mondo. Abbiamo capito subito di avere fatto la scelta giusta quando, a un controllo dalla veterinaria, si è scoperto che lui -vero maschio certificato- si stava preparando per allattare. Per la serie, se non sono strani non li vogliamo. Accettata quindi la sua duplice natura con serenità, ché in questa casa non si fa distinzione di genere, abbiamo proseguito con la vita di tutti i giorni. Finché l’amico felino non ha pensato bene di farsi investire e trovare moribondo sull’uscio di casa dalla sottoscritta. Ripreso per un pelo -è il caso di dirlo- senza la milza, una fila di punti e un’ipoteca sulla casa per pagare la bravissima veterinaria salva-vita, pensavamo di esserci lasciati la sfortuna alle spalle (nonostante sia un gatto quasi tutto nero).
E invece. Da qualche settimana l’inquieto felino ha stravolto i suoi ritmi di sonno-veglia, come un neonato appena portato a casa dall’ospedale. Ogni sera, all’ora della buonanotte, Felix segue i suoi fratelli umani in fila indiana, e sceglie su quale dei tre letti trascorrere le prime ore della notte. Perché poi, verso le due, arriva zampettando accanto a me e miagola finché non mi decido ad alzarmi e dargli da mangiare. Torno a letto ma non è finita, perché dopo una buona porzione di pappa non c’è niente di meglio di una passeggiata al chiaro di luna, per digerire. Così il caro felino torna alla carica più miagolante di prima, per farsi aprire la porta. Io ci provo, a ignorarlo, davvero. Mi giro dall’altra parte, fingo di dormire, ma niente. Lui lo sa, e si dirige baldanzoso verso la poltrona dove sono ordinatamente (!) appoggiati i miei vestiti per il giorno dopo, e comincia energicamente a farsi le unghie. Mi è capitato di andare al lavoro con le calze a brandelli, giuro. Così mi alzo, apro la porta congelandomi e lo caccio letteralmente fuori di casa. Fino all’alba, quando il suo miagolio e’ il secondo rumore che sento dopo il trillo della sveglia.
Ora, se qualcuno fra voi fosse esperto di psicologia felina, umana o quant’altro vi prego, aiutatemi. Ogni idea, suggerimento, strategia e consiglio per riportare i suoi bioritmi alla normalità sarà accolto con gratitudine. Eterna.
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la convivenza con i gatti è così. ne abbiamo tre: ognuno ha il suo stile di vita. ma proprio uno stile che è “personale”. la nostra linea è una sola: adattamento reciproco. un esempio: http://coatesa.com/2016/01/29/fra-i-due-chat-noir-e-il-letto-matrimoniale/
un altro esempio: http://coatesa.com/2014/03/01/luciana-parla-dei-nostri-gatti-in-una-lettera-a-una-amica/
per la nostra esperienza: i gatti non sono “addomesticabili”. non è un caso che lungo tutta la storia evolutiva abbiano mantenuto la loro identità di genere, nonostante l’avere scelto (loro) di vivere con noi
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