
Era in fondo a un cassetto, che faceva fatica a chiudersi.
Se ne stava lì incastrato, impolverato e scarico, miracolosamente intatto.
Il nostro vecchio tablet s’è riacceso nel tempo di una cena, riconsegnandoci un pezzo di memoria familiare.
Un lampo sullo schermo ed ecco la piccola, quando lo era davvero, la esse strisciante e i boccoli chiari.
La mezzana con l’apparecchio ai denti e la frangetta, la stupidera e i selfie.
Il primogenito coi capelli a scodella, la voce da Paperino, gli abbracci alle sorelle, le coccole con la mamma.
Il gatto un batuffolino tenero e puccioso, non il felino di Satana dei giorni nostri.
Io con meno rughe, meno chili, i capelli sempre rossi, il sorriso tirato di chi, anche davanti a tanta bellezza, fatica a essere felice.
Uno alla volta, chi per terra e chi sul divano, abbiamo osservato quei noi stessi lontani nel tempo, riconoscendo crescite miracolose e impietosi invecchiamenti.
Ci siamo ritrovati nello stesso ricordo, tutti con una versione diversa.
Ho guardato quei tre piccoli sullo schermo e i tre grandi che mi sedevano accanto, con una consapevolezza nuova.
Che di strada se n’è fatta tanta, anche quando non ce ne siamo accorti e pensavamo d’esser fermi.
Che se la nostalgia è il desiderio di tornare, un desiderio inappagato, allora no, non sono nostalgica.
Ho la consapevolezza di essere passata attraverso fatiche grandi, alle quali per fortuna non ero preparata. Lo avessi saputo, dubito che avrei accettato.
Che i ricordi, un po’ come i dolori del parto, si edulcorano in fretta, ma va bene così.
Che di ricordi ne costruiamo ogni giorno un po’ di più, e so che domani, a differenza di oggi, riderò con tenerezza dei disastri dei miei tre adolescenti.
Che recuperare un ricordo è come infilare la mano nel cappotto dello scorso anno e trovarci un venti euro arrotolato: felicità.
🥰
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