
Sarà che un anno fa ancora ne comprendevo poco o nulla, ero al cinema con fidanzato e piccola a vedere un film che parlava di libertà, cani e spazi aperti.
Sarà che pochi giorni dopo mi sarei trovata al supermercato con un carrello pieno di tutto, dell’utile e del superfluo, a preoccuparmi per la mancanza del lievito che per dirla tutta non avevo mai usato granché.
Che i miei figli sono rimasti a casa da scuola e ho pensato “una intera settimana? Come farò?” e per me il vero lockdown è cominciato lì.
Sarà che il grande se l’è goduta i primi giorni stando fuori con gli amici, mettendo le tende al campetto da basket, ma è stata solo questione di tempo e poi, un allenamento dopo l’altro, si è spenta anche la lucina dello sport.
Sarà che poco alla volta s’è fatto buio, è il buio fa paura.
Sarà che un giorno dopo l’altro abbiamo acceso piccole luci, cucinato, cantato, fatto ginnastica, dipinto gli striscioni di andrà tutto bene, passeggiato nel bosco e poi neanche più quello, e ancora consolati, abbracciati, rinforzati e forse oggi, che un anno è passato, ci sembra che tutta quella fatica pesi un po’ di più.
Perché la quotidianità s’è fatta diversa, ha tolto abitudini e ritualità facendocene costruire una diversa, liquida, mutevole.
È passato un anno e io ho ancora bisogno, ogni tanto, di dirmi che andrà tutto bene.